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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2012 alle ore 15:05.

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NATORI (Provincia di Miyagi) - A un anno dallo tsunami, sta per partire un progetto di ricostruzione per il quale ci vorrano 30-40 anni. Non si tratta di rifare case o infrastrutture, ma qualcosa di necessario per riattivare le attività agricole: ricostituire le foreste costiere che da 400 anni proteggono l'entroterra, rendendo coltivabili terreni che altrimenti sarebbe reso quasi inutilizzabili da sabbie, sale, forti venti ed estemporanee alte maree.

Al disastro ambientale provocato dalla furia delle acque e dalla crisi nucleare, infatti, si è accompagnato quello della distruzione del 70% delle foreste costiere, di cui quasi 2mila ettari (circa la metà del totale ) sono state spazzate via nella sola provincia di Miyagi. Un ecodramma che continua. Le aree attorno all'aeroporto di Sendai (capoluogo di Miyagi e dell'intero Tohoku) appaiono come una landa desolata, nella nebbia e nel nevischio invernale: sono rari gli alberi sopravvissuti, molti dei quali appaiono anneriti e rinsecchiti come dopo un incendio. Qui, oltre 400 anni fa, il signore locale Date Masamune (noto per aver inviato una ambasceria in Europa) aveva ordinato la realizzazione di foreste di pini neri per rendere coltivabili le terre.

A poche centinaia di metri dallo scalo, una stele ricorda anche il grande progetto di ulteriore riforestazione varato nei primi anni del dopoguerra. In alcuni casi, gli alberi hanno ridotto l'impatto della violenza dello tsunami, ma a volte hanno amplificato la devastazione, perché quelli sradicati hanno finito per trasformarsi in grandi proiettili lanciati contro le abitazioni, contribuendo a devastarle. "Adesso siamo noi a promuovere un progetto di riforestazione da mezzo milioni di kuromatsu, i pini neri particolarmente resistenti - dice Tadashi Watanabe, vicepresidente della no-profit Oisca international - l'idea è non solo quella di porre le basi per una ripresa delel attività agricole, ma di dare un reddito agli agricoltori danneggiati, impegnandoli a curare la crescita delle piante, che specialmente nei primi 5 anni hanno bisogno di molte cure. Abbiamo raccolto donazioni private e altre speriamo che arrivino, anche dall'estero".

L'Ong ha coivolto la comunità locale di Natori, la cittadina in cui si trova lo scalo di Sendai. "Qui intorno c'erano oltre mille serre. Io ne avevo 25. Tutte sono andate perdute", afferma Kiyoshi Mori, un agricoltore locale che, con qualche aiuto pubblico, ne ha ricostruite cinque per la coltivazione di una apprezzata varietà vegetale locale detta komatsuna _ Nelle serre possiamo avere 5 raccolti l'anno, con una resa maggiore di quella ottenibile all'aperto. Non è facile ricominciare, anche perché i terreni sono stati spesso compromessi e vari contadini, già piuttosto anziani, hanno deciso di smettere".

A sud dell'aeroporto, in un'area dove c'erano molte abitazioni, ne rimane solo una, grande e a due piani (di cui il primo tutto aperto e devastato), che si erge solitaria vicino a una montagna di detriti. "Era la mia abitazione, costruita in robusto legno canadese ma con tecniche tradizionali giapponesi, senza un solo chiodo - dice Eiji Suzuki, 71 anni, gestore di un parcheggio all'aeroport -. Sono venuti a visitarla, lasciando fiori, anche il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden e il ministro canadese delle risorse. La voglio lasciare così com'è. Come muta testimonianza della tragedia che nella nostra comunità è costata la vita a quasi mille persone. E se avro' aiuti, potro' trasformarla in un museo".

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