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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2012 alle ore 13:52.

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Un nastro giallo che resterà esposto su Facebook fino al loro ritorno. È quello che avvolge il Leone di San Marco, simbolo del reggimento e segno della solidarietà ai due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trasferiti in carcere in India con l'accusa di aver ucciso due pescatori locali. L'iniziativa è di AnalisiDifesa.it, la prima rivista di Difesa, industria e tematiche militari online. Sono centinaia i post sui social network che fanno rimbalzare in rete il grido Liberateli, sono prigionieri.

Dove accedere: http://www.facebook.com/pages/AnalisiDifesait /118097008232386

A firmarli sono militari e commilitoni, ma il fronte della solidarietà unisce tutte le Forze Armate schierate su blog e forum di discussione. Numerosi gli appelli alle istituzioni italiani perchè affrontino la situazione con maggior vigore. E c'è chi pensa all'idea di organizzare una fiaccolata a Taranto o una cerimonia di ammainabandiera fino a che non saranno liberati.

«Abbiamo deciso di mettere il nastro giallo - spiega all'Adnkronos il direttore di AnalisiDifesa, Gianandrea Gaiani - perchè è il simbolo che viene usato quando ci sono militari prigionieri che non possono tornare a casa. Un segno di vicinanza ai nostri marò che sembrano abbandonati anche sui siti istituzionali, quasi fossero militari di un altro Paese. Ne parla solo il sito della Marina Militare», lamenta Gaiani, che ironicamente lancia una provocazione: «Visto che i nostri soldati sono in missione e sono tenuti prigionieri, significa che l'India ci ha dichiarato guerra ma noi non ce ne siamo accorti».

Il segno giallo sulla piazza virtuale di Facebook in poche ore conta giá decine di condivisioni e Mi Piace (1201 alle 13,30. I post sono chiari: «Solo una parola: solidarietà», scrive un utente. E un altro internauta è ancora più netto: «A casa, immediatamente». Qualcuno, invece, nota che la vicenda è un «altro pesce in faccia all'Italia che continua a porgere l'altra guancia e non alza la voce avendone tutti i diritti».

Il senso comune delle espressioni che circolano in rete oscilla tra «vergogna» e «indignazione». C'è chi propone di «espellere l'ambasciatore subito» e chi vuole «boicottare le importazioni dall'India».

Anche su Twitter si susseguono messaggi accomunati dalla richiesta di «verità per i nostri marò sbattuti in cella». La solidarietà corre anche su Militariforum.it, dove all'invito a «manifestare la nostra civilissima indignazione» si unisce la proposta di «inviare mail di protesta in inglese contro le violazioni del diritto internazionale al sito del Times of India».

Tante anche le email di solidarietà e vicinanza giunte al sito istituzionale della Marina Militare per i due marò italiani «ingiustamente detenuti nel carcere di Trivandrum. In base al diritto internazionale - si legge in uno dei messaggi - i militari devono essere giudicati da un tribunale italiano. Pertanto chiediamo al governo indiano per il vostro tramite l'immediata liberazione dei nostri militari: l'amicizia fra i nostri due Paesi deve far sì che questo appello non rimanga inascoltato».

E se a qualcuno questa «vicenda fa ricordare il film Fuga di mezzanotte», sono in tanti a chiedere in Rete che «il nostro governo si deve muovere, ricorrendo alla Corte dell'Aja e perchè no anche all'Onu, di fronte a una plateale violazione delle leggi internazionali».

Su Facebook, il gruppo Comunità militare apre con la foto dei due marò. Sul tricolore campeggia la scritta: Massimiliano e Salvatore liberi subito. L'Italia ha il dovere di difenderli e riportarli a casa. Su un altro post è scritto: Gli ITALIANI e i SOLDATI vogliono risposte concrete. La dignità del popolo italiano è supremà. La forza dei contatti è presto detta: 'Siamo con voi ..... 2.763 italiani di questa paginà, si legge in bacheca.

Non ha dubbi un altro gruppo, denominato 10° CROCIATA. Sotto le insegne di un cavaliere Templare, un messaggio: «Fessi noi che ci siamo fatti intortare. Ma questo non può giustificare un affronto all'Italia intera». «Una cosa è chiara - prosegue il post - l'inchiesta deve essere svolta da un tribunale militare italiano e, se ritenuti colpevoli, i marò dovranno scontare la pena in un carcere italiano».

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