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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2012 alle ore 07:49.

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PALERMO
Le parole del procuratore antimafia Piero Grasso sono taglienti ma non nuove: «La strategia della tensione nel nostro paese non è mai finita» dice Grasso. L'occasione che lo muove fino a Caltanissetta, nel cuore della Sicilia, è la conferenza stampa per i quattro ordini di custodia cautelare chiesti dalla procura nissena guidata da Sergio Lari nei confronti di mafiosi coinvolti nella strage di Via D'Amelio in cui morì Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. È l'ennesima (e sicuramente non ultima) tappa dell'inchiesta culminata prima con la scarcerazione di sei innocenti e ora con le ordinanze del gip Alessandra Giunta nei confronti del capomafia pluriergastolano Salvino Madonia (è accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l'avvio della strategia stragista) e ai boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Gaspare Spatuzza, oggi pentito chiave in questa storia, la 126 per la strage; il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino, in via D'Amelio, e avrebbe fatto da talpa agli stragisti). Mentre un quarto provvedimento riguarda il pentito Calogero Pulci che era l'unico in libertà: è accusato di calunnia aggravata, perché con le sue dichiarazioni avrebbe finito per fare da riscontro al falso pentito Vincenzo Scarantino. In verità la procura aveva chiesto l'arresto di una quinta persona, il meccanico Maurizio Costa, cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni della Fiat 126, ma il gip ha rigettato la misura. Costa resta indagato a piede libero per favoreggiamento aggravato.
Per arrivare a questo punto magistrati nisseni hanno potuto contare sulle dichiarazioni di due pentiti: oltre a Spatuzza sono state utilizzate le dichiarazioni di Fabio Tranchina, l'autista del boss Giuseppe Graviano, condannato all'ergastolo, che organizzò il commando e azionò il telecomando. Il quadro che emerge è davvero inquietante: Paolo Borsellino, secondo un racconto fatto da lui stesso, si sentiva assediato da «vipere» e «traditori» e aveva capito che dopo Giovanni Falcone sarebbe stato eliminato anche lui. Cosa nostra aveva deciso di ucciderlo già nel 1991 e nel 1992 avrebbe accelerato la decisione perché il magistrato veniva considerato un ostacolo alla trattativa tra Stato e mafia. Ieri Grasso ha detto che la mafia aveva un progetto «eversivo-terroristico» e avrebbe attuato una strategia stragista «per evitare mutamenti politici non graditi». Ecco il motivo dell'aggravante di terrorismo costestata.
Uso eversivo della strage collegato alla «trattativa», partita dopo la morte di Falcone con i boss che avrebbero fermato le bombe in cambio di benefici per i detenuti al regime del 41 bis. E il mediatore era Vito Ciancimino: il figlio Massimo ha svelato alcuni passaggi, in cui i servizi segreti avrebbero svolto un ruolo ambiguo spinto fino alle fasi organizzative dell'attentato di via D'Amelio ma sia i pm che il gip lo ritengono inattendibile. L'inchiesta ha pure valutato l'esistenza di una «sinergia tra parti di un sistema politico in disfacimento e la mafia» ma per il gip l'ipotesi di un coinvolgimento di soggetti esterni può sembrare «suggestiva» e va dunque ridimensionata. Certo è che Borsellino in quei giorni aveva intuito di essere condannato. «Qualcuno mi ha tradito» aveva confidato a due giovani magistrati, Alessandra Camassa e Massimo Russo, che lo avevano trovato moralmente distrutto. «Sono in un nido di vipere» aveva detto loro ricostruendo il clima ostile. La moglie Agnese ha raccontato: «Mi disse: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era punciutu (affiliato alla mafia, ndr). Tre giorni dopo, durante una passeggiata sul lungomare di Carini, mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere». Il generale Antonio Subranni, già capo del Ros, la struttura che stava conducendo la trattativa con la mafia: a suo tempo è stato iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa.
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