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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2012 alle ore 18:02.

Per gli immobili delle categorie produttive l'allarme fiscale era già risuonato a inizio 2011, con la comparsa dell'Imu nel decreto sul federalismo dei sindaci.
Da allora, però, il mondo è cambiato, in peggio: il decreto «Salva-Italia», che ha anticipato a quest'anno il debutto della nuova imposta, ha introdotto i moltiplicatori per il valore catastale di negozi e uffici (60%) e delle imprese (20%), e con l'agricoltura è stato ancor più duro riportando espressamente a tassazione gli immobili "rurali" e, soprattutto, cancellando gli abbattimenti che riducevano il valore imponibile dei terreni, in particolare quelli più piccoli.

Risultato: per negozi e uffici, le aliquote di riferimento indicate dalla legge statale raddoppiano il conto rispetto a quelle medie della vecchia Ici, per i capannoni e gli altri immobili strumentali all'attività d'impresa l'incremento di base è del 40%, mentre per un piccolo terreno agricolo l'imposta si moltiplica di sette-otto volte. Su questi livelli di partenza, come mostrano gli esempi pubblicati in queste pagine, intervengono i ritocchi dei sindaci, che nella grande maggioranza stanno studiando aumenti di aliquota per recuperare risorse e tamponare i tagli statali (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri).
I numeri mostrano le dimensioni del problema fiscale che pende su queste categorie di contribuenti. A Milano, dove il disavanzo corrente di 600 milioni di euro e l'ipotesi di non toccare nuovamente le addizionali Irpef concentrano tutte le attenzioni sull'Imu, l'aliquota «ordinaria» (cioè quella per gli immobili diversi dalle abitazioni principali) dovrebbe attestarsi al 9,6 per mille.

Per un piccolo negozio in centro, si tratta di passare dai 363 euro chiesti dall'Ici nel 2011 agli oltre 1.100 che saranno pretesi quest'anno dall'Imu, con un aumento del 210% che dovrà essere sopportato anche dagli esercizi commerciali in periferia (la proporzione degli incrementi non dipende dalla zona). Un po' meno importante dovrebbe essere la stangata per i lavoratori artigiani perché Palazzo Marino, come altri Comuni, sta pensando ad un'aliquota ad hoc un po' più bassa (7,6 per mille nel caso milanese) per questo tipo di attività. L'entità degli incrementi dipende ovviamente anche dai livelli Ici di partenza, che a Milano erano più bassi della media. A Caserta, per esempio, le aliquote Imu dovrebbero essere portate tutte al massimo (10,6 per mille, 6 per mille sull'abitazione principale), ma rispetto al 7 per mille chiesto dall'Ici nel 2011 l'aumento per negozi e uffici è "solo" del 140% (cioè si pagherà di Imu 2,4 volte ciò che si è versato di Ici).

Numeri più rotondi sono quelli che interessano le imprese. Gli esempi si basano su un capannone di 2mila metri quadri in zona industriale: a Roma, per esempio, si passerà da un'Ici intorno ai 20mila euro a un'Imu che sfiora quota 40mila.
Un problema a sé, come accennato, è quello vissuto dai terreni agricoli. L'Ici abbatteva la base imponibile in modo proporzionale all'ampiezza del terreno, riservando un trattamento via via più leggero ai terreni più piccoli. L'Imu non abbatte nulla, considera la base imponibile piena e di conseguenza produce rincari più salati per i terreni più piccoli. Negli esempi in fondo si fanno i conti su due piccoli appezzamenti, al Nord e al Sud: il conto reale dipende dai valori fiscali di base di ogni Comune, ma l'imposta è destinata a moltiplicarsi di 6-8 volte a seconda dei casi.

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TAG: Italia

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