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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2012 alle ore 17:09.

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Non è la prima volta che Susanna Camusso si dice favorevole alla Tav. La posizione della Cgil è che servono gli investimenti pubblici per far ripartire l'economia e dunque la linea del segretario generale, ribadita in un'intervista al "Corriere della Sera", è coerente. Ma ci sono buoni motivi per immaginare che in questo caso non si tratta solo di sottolineare una tesi. Ci sono esigenze politiche che la Cgil sa di dover tenere in conto in questo particolare e delicato momento delle trattative con il governo sul mercato del lavoro.

In sintesi, il segretario generale è esposto su vari fronti. A sinistra c'è la Fiom che incalza sulle questioni del lavoro e tende a fare massa critica con i movimenti "no Tav": lo abbiamo visto l'altro giorno nelle manifestazioni che si sono svolte in varie città. Poi c'è un fronte, diciamo così, più politico. La Camusso non ha interesse a perdere i contatti con il Pd di Bersani, il quale a sua volta sulla Tav tiene una posizione seria ("l'alta velocità si deve fare") che naturalmente gli ha alienato le simpatie di tutti i gruppi antagonisti, accentuando la spinta riformista e la vocazione governativa del maggiore partito del centrosinistra. Perciò la Cgil non lascia solo il Pd in questo passaggio che potrebbe essere cruciale per le prospettive della sinistra italiana. E allora "sì alla Tav", sia pure con un richiamo al "dialogo" che in sé è legittimo, s'intende, ma è un po' troppo generico.

Cosa vuol dire esattamente "dialogo" quando nel corso degli anni tutti i confronti possibili con gli abitanti della valle sono stati esplorati? Se il problema fosse solo quello di fare opera di convincimento sui "no Tav" irriducibili, si potrebbe essere d'accordo. Ma l'ambiguità della formula lascia immaginare che, dietro l'appello a un nuovo confronto pubblico, possa celarsi la volontà di guadagnare tempo e di procrastinare l'opera. In questo caso sarebbe un errore e le parole del numero uno della Cgil non sono del tutto rassicuranti.
Infine, il terzo fronte di Susanna Camusso è quello sindacale. Un certo gioco alla scavalco sul mercato del lavoro è cominciato. La Cisl di Bonanni si muove per allargare il proprio spazio come interlocutrice privilegiata del governo Monti e non a caso il leader di questo sindacato ha polemizzato con la Camusso, rimproverandole di avere evocato a sproposito eventuali "tensioni sociali".

Sarebbero la conseguenza di un'iniziativa del governo sull'articolo 18, ma a Bonanni quelle parole sono sembrate pericolose, quasi un modo di eccitare una piazza che non ha bisogno di ulteriori stimoli. Anche su questo punto la Camusso risponde nell'intervista al "Corriere" e sembra desiderosa di non accentuare la polemica con gli altri sindacati confederali.
Una Cigl isolata, si tratti della Tav o dell'articolo 18, non serve a nessuno e forse non sono più i tempi del "patto per l'Italia" firmato da Cisl e Uil e non dal maggiore sindacato. Sull'articolo 18 la trattativa andrà avanti ed è volontà di tutti trovare una soluzione che aumenti la flessibilità del lavoro in Italia. Gli spazi di mediazione e di compromesso ci sono, perchè in gioco ci sono questioni di sostanza, non solo nominali. Il punto è la possibilità di trovare un buon accordo. Che sblocchi le rigidità dell'articolo 18 senza umiliare nessuno degli interlocutori seduti intorno al tavolo governativo. Ma naturalmente la montagna non potrà partorire il solito topolino.

Il sentiero stretto di Alfano
Sul piano politico gli ultimi giorni, o forse si dovrebbe dire le ultime ore, hanno visto un tentativo di Angelino Alfano di occupare spazio mediatico attraverso bandiere non più strettamente "berlusconiane". Quando fece saltare il vertice di maggioranza, mercoledì socrso, Alfano aveva usato ancora una volta due argomenti tipici del Pdl: la Rai e i nodi della giustizia (compresa la leggi anti-corruzione). Era facile intravedere dietro quella decisione la mano di Berlusconi. In seguito il giovane segretario del maggiore partito presente in Parlamento ha provato a cambiare registro. Si è appellato più volte al "lavoro" come alla priorità dell'azione governativa e addirittura ha tentato di imbastire una polemica contro le banche ("noi siamo con il popolo, se le banche non sono con il popolo noi siamo contro le banche").

E' facile cogliere in questi passaggi la necessità di ridefinire l'identità del Pdl in vista delle amministrative. Berlusconi dovrà restare sempre più nel retro-palco: come non è andato a metà settimana in tv da Bruno Vespa, così nel week-end ha rinunciato al seminario di Orvieto. Il nuovo stile dovrà continuare. Alfano si sforzerà sempre più di presentare un'immagine rinnovata, e un po' populista, del centrodestra. Ma naturalmente tutto questo non definisce ancora una leadership. La strada è lunga, molto lunga; e i sondaggi per ora sono impietosi. Il Pdl rischia un grave insuccesso nel voto di primavera e questo potrebbe avere effetti realmente destabilizzanti sulla tenuta del partito post-berlusconiano.

Tanto più che Alfano non è in grado di mettere in campo un sistema di alleanze in grado di sostituire il vecchio asse spezzato con una Lega sempre più sconnessa. Il rapporto con Casini resta tutto da costruire, anche perchè il leader dell'Udc non ha interesse a smuoversi dalla sua posizione centrista, coltivando ottime relazioni sie con il Pdl sia con il Pd. Invece Alfano avrebbe bisogno di qualcosa ddi più: di un rapporto politico più saldo e impegnativo con il centro cattolico. Magari a cominciare dalle comunali di Palermo, dove il candidato del terzo polo, Costa, potrebbe diventare, a certe condizioni, l'uomo in grado di saldare un mini-patto fra Pdl e Udc. E mascherare così il collasso del sistema di potere berlusconiano nel capoluogo siciliano.

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