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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2012 alle ore 08:11.

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Presentando sul Manifesto la manifestazione di venerdì 9 marzo della Fiom a Roma, Maurizio Landini ha scritto che «tornano domande antiche: cosa, come, dove produrre», rivendicando per la sua organizzazione «un'idea generale del lavoro e di dove esso si collochi». La Fiom, ha continuato, persegue «un diverso sviluppo perché quello voluto dal liberismo divide, distrugge risorse, ricchezze, beni comuni, lavoro e dignità». Si delinea così un sindacato dichiaratamente schierato sul fronte anticapitalistico (giacché è evidente che nelle parole di Landini il "liberismo" costituisce la specifica forma contemporanea del capitalismo), pronto a mobilitare, insieme con i lavoratori dell'industria, tutti i soggetti sociali che si sentono penalizzati dall'attuale modello di sviluppo.
È la scelta di un sindacato-movimento che si sente completamente svincolato, nella sua richiesta perentoria di un altro assetto dell'economia e della società, da ogni vincolo tale da limitare la sua libertà d'azione, insofferente di ogni limitazione. La Fiom si definisce come una forza sociale che si muove a cavallo fra economia e politica e che risponde solo a se stessa delle proprie linee di lotta, come è apparso chiaro dai fischi che venerdì hanno accolto l'intervento del rappresentante della segreteria confederale della Cgil. Tende a unificare, partendo dalla propria base nel mondo dei lavoratori dell'industria, ogni altro soggetto che rifiuta le politica economica in atto.
In questo momento, nel mondo non esiste nessun grande sindacato industriale che aderisca alla logica dell'azione collettiva proposta dalla Fiom. È fin troppo evidente che organizzazioni come l'Ig Metall in Germania o la United Automobile Workers in America, pur non astenendosi affatto dal formulare nei loro documenti una visione generale e dal declinare un proprio sistema di valori, sono quanto mai lontane dalla radicale militanza sociale impersonata dalla Fiom.
Il sindacato industriale ha preso strade differenti. In Germania esso si fa forte del proprio radicamento nel sistema delle imprese. L'alto tasso di sindacalizzazione che contraddistingue alcune delle maggiori imprese tedesche, Volkswagen in testa, dipende dall'adesione della rappresentanza dei lavoratori all'orizzonte dell'impresa. In altri termini, esiste una tale condivisione di obiettivi e di finalità da far apparire il sindacato come un'istituzione portante della politica aziendale. È sufficiente parlare con gli esponenti sindacali designati nei comitati di sorveglianza per avvedersi come essi operino all'interno delle politiche di costruzione del consenso sociale delle imprese, che offrono loro uno status solido e riconosciuto.
Si tratta del frutto più importante conseguito dall'esperienza della cogestione, a cui di recente anche il sindacato americano ha mostrato di guardare con attenzione. Alla United Automobile Workers of America piacerebbe poter replicare la falsariga tedesca, persino a costo di uscire dall'alveo contrattualista che ne ha scandito la storia. Il riconoscimento di una forma di partecipazione istituzionale all'impresa sarebbe una soluzione per un sindacato che, nonostante il ruolo avuto nel rilancio del sistema industriale di Detroit, non può permettersi di pensare al futuro con tranquillità. Finché non avrà dato la prova di saper estendere la propria influenza al di là di aree sindacalizzate come il Michigan e l'Indiana per raggiungere gli impianti della sun belt dove non c'è il contratto collettivo, la Uaw non potrà essere sicura della propria tenuta nel tempo.
In generale, il sindacato industriale lega la propria presenza al mantenimento e al rinnovamento delle strutture della produzione. Ciò fa sì che tenda a sviluppare un legame di partnership con le imprese, da cui la sua esistenza in ultima analisi dipende. In Italia, al contrario, il caso della Fiom rivela come essa, dubitando del futuro industriale del Paese, giochi ormai la propria sorte nel rapporto con la mobilitazione collettiva e sociale e sposti in quella direzione la frontiera politica del sindacato. Un'impostazione del genere allontana il confronto con le altre organizzazioni sindacali, accentuando le distanze ed esasperando i contrasti. Col risultato di rendere più fragile e debole proprio il sistema delle relazioni industriali.
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GERMANIA E USA

Ig Metall
L'Ig Metall è il sindacato dei metallurgici tedeschi e la più grande associazione di categoria in Europa. Nel 2011 i lavoratori con la tessera dell'Industriegewerkschaft Metall in tasca erano 2.245.760. Dal 2007 il sindacato tedesco è guidato da Berthold Huber
Uaw
La United Automobile Workers, icona del sindacato americano, è uno dei principali sindacati del settore automobilistico. Fondata nel 1935, ha quasi un milione di iscritti

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