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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2012 alle ore 13:15.

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Confusione e incertezza sembrano caratterizzare tempistica e modalità del ritiro delle truppe alleate dall'Afghanistan. Negli ultimi mesi non sono certo mancati annunci e voci di accelerazione del processo di rimpatrio dei 130 mila soldati dell'Isaf prima della fine del 2014. Parigi ha fatto sapere che entro l'anno prossimo tutti i suoi 3 mila militari saranno tornati a casa ed entro la stessa data Pentagono intende sottrarre i militari statunitensi dai compiti di combattimento.

A premere a sorpresa sull'acceleratore del ritiro alleato, è ora il presidente afghano Hamid Karzai con una reazione che pare strettamente legata agli incidenti e alle tensioni tra Kabul e gli alleati occidentali esplose nelle ultime settimane. I crescenti casi di militari afghani che uccidono soldati della Nato (almeno 12 dei 70 militari alleati uccidi dall'inizio dell'anno sono stati colpiti dai "commilitoni" dell'esercito afghano) , il caso delle copie del Corano bruciate, le vittime civili provocate dai raids aerei e poi la strage compiuta dal sergente Robert Balesl che secondo gli statunitensi sarebbe l'unico responsabile della strage di Panjiwaji nella quale sono stati uccisi 16 civili tra i quali 9 bambini. Le autorità afghane avevano chiesto di poter interrogare e processare il militare che è già stato trasferito nella prigione di Fort Leavenworth, in Kansas.

Episodi che hanno accentuato lo scollamento tra il governo di Kabul e gli Stati Uniti già evidente fin dal mese scorso quando Washington aveva dimezzato i fondi per sostenere le forze armate di Kabul (scesi da 11,2 a 5,7 miliardi di dollari annui) e proponendo di ridurre esercito e polizia afghani da 350 mila a 240 mila uomini. Anche per questo il presidente Karzai ha chiesto la conclusione del processo di transizione (cioè l'avvicendamento nei compiti di sicurezza tra le truppe della Nato e quelle afghane) già nel 2013 e l'immediato ritiro delle forze della coalizione da tutti i villaggi dell'Afghanistan. Di fatto Kabul pretende il ritiro delle forze alleate dal Paese un anno prima de previsto e già da ora vorrebbe che i soldati si concentrassero in alcune grandi basi abbandonando tutte le basi avanzate attraverso le quali i militari della Nato cercano di mantenere il controllo del territorio contrastando i talebani.

Dichiarazioni forti che non è detto si traducano in fatti concreti considerando che già passato Karzai aveva annunciato limitazioni all'impiego bellico delle forze alleate(soprattutto aerei e forze speciali) mai in realtà applicate. Il Pentagono ha infatti reso noto che Kabul non ha chiesto alcun cambiamento al calendario per la transizione stabilito nel Summit Nato di Lisbona del 2010 anche se lo stesso Karzai ha anticipato che la questione verrà definita ufficialmente al summit della Nato che si terrà a Chicago in maggio. I rapporti tra Kabul e Washington sono però sempre più tesi anche a causa dei negoziati che gli statunitensi hanno gestito finora in modo diretto in Qatar con i talebani che si rifiutano però di trattare con "il fantoccio" Karzai. La strage del Panjawayi potrebbe aver costituito un buon pretesto per cambiare lo scenario negoziale. I talebani hanno congelato i colloqui con gli statunitensi ai quali hanno chiesto la liberazione di cinque loro esponenti di spicco detenuti a Guantanamo e sembrano pronti ad aprire u tavolo con Karzai che li corteggia annunciando di volersi liberare dei soldati alleati.

''Siamo pronti ad assumerci tutte le responsabilità in materia di sicurezza" ha detto il presidente dopo aver incontrato a Kabuil il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, "Le parti devono lavorare insieme per completare nel 2013, invece che nel 2014, il processo di transizione in materia di sicurezza dalle truppe internazionali alle forze afghane''. Una richiesta che secondo il portavoce Eimal Faizi si basa sul fatto che ''le nostre forze sono pronte a gestire la sicurezza e il presidente vuole evitare incidenti simili a quello di domenica scorsa nella provincia di Kandahar" circa il quale lo stesso Karzai ha messo in dubbio la versione fornita dagli statunitensi citando numerose testimonianze e un rapporto dell'esercito afghano secondo le quali la strage potrebbe essere stata commessa da più militari americani, fino a una ventina.

Un ritiro più rapido dall'Afghanistan potrebbe fare comodo anche alla campagna elettorale di Barack Obama ma non porterebbe la pace in Afghanistan. Le truppe afghane non sono in grado di combattere da sole gli insorti e senza i mezzi della Nato non avrebbero neppure capacità minime in campo aereo e logistico rischiando di sbandare e di venire sopraffatte nei loro avamposti. Inoltre il "congelamento" delle operazioni degli alleati comprometterebbe i successi conseguiti faticosamente negli ultimi anni riportando intere province sott il controllo degli insorti. La decisione di Karzai di limitare i compiti delle truppe alleate e di anticiparne il ritiro sembrerebbe un azzardo poiché comprometterà i già difficili rapporti con gli Stati Uniti e l'Occidente mentre nessuno si fa illusioni circa la disponibilità dei talebani di accettare l'attuale dirigenza politica di Kabul.

Più probabile che gli insorti puntino, con il supporto pakistano, ad accentuare le divisioni tra Karzai e gli Occidentali per favorire un ritiro della Nato che aprirebbe loro la strada per riprendere il potere a Kabul che pochi mesi dopo il ritiro degli alleati potrebbe cadere come cadde Saigon nell'aprile 1975. in seguito all'offensiva vietcong/ nord vietnamita e al tracollo dell'esercito sudista . Il presidente afghano potrebbe avere ancora qualche asso da giocare come l'accordo di cooperazione strategica firmato nell'ottobre scorso a Nuova Delhi in base al quale gli indiani si impegnano a fornire aiuti militari e istruttori alle truppe di Kabul dopo il ritiro di Isaf. L'India potrebbe risultare un alleato meno ingombrante di Washington , in grado di offrire stabilità al governo afghano con il rischio però di trasformare il Paese in un altro Kashmir, un nuovo fronte del confronto tra indiani e pakistani.

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