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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2012 alle ore 08:11.

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ROMA.
È stato forse il capitolo sulla Fiat quello più "a effetto" di Mario Monti sapendo bene di dire cose poco digeribili non solo per i leader sindacali che lo ascoltavano da vicino ma anche per alcuni leader politici che lo sentivano da lontano. E anche per la platea di imprenditori che sulla Fiat si divide sempre un po'. Ma il premier è andato dritto senza timore di dire cose scomode. «Chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere dove investire e le localizzazioni più convenienti». Un'affermazione netta che Monti pronuncia a qualche ora di distanza dal suo primo incontro di venerdì proprio con Sergio Marchionne e il presidente John Elkann definito da lui stesso «illuminante e interessante». Parole che fanno tornare in ambienti sindacali la certezza che presto Marchionne trasferirà gli stabilimenti o che possa vendere un marchio (per esempio l'Alfa Romeo) ai tedeschi.
Ma insomma al di là dei rumors che ha messo in circolo la dissertazione a sopresa di Monti sul Lingotto, la novità sta proprio nelle sue parole. E sta soprattutto in quella richiesta di «rispetto» che il premier vuole per la Fiat e «per chi produce». Parla ai sindacalisti o ai commentatori che spesso si sono esercitati in strategie industriali alternative a quelle di Marchionne e, anche per loro, come era stato per Francesco Giavazzi, usa il fioretto. «Nel colloquio con il management Fiat mi sono convinto che tre cose sono importanti per un'azienda come quella di Torino e per tutte le aziende: la produttività; la flessibilità ma al primo posto c'è il rispetto. Un Paese può molto esigere ma deve anche rispettare: non si può pensare che un'impresa debba essere oggetto di perenne scrutinio investigativo sulla politica industriale fatta da persone che su questo fronte non hanno nemmeno la competenza».
Non si è sottratto però a definire «non sano» il rapporto tra la Fiat e i governi che si sono succeduti fino a qualche anno fa. «Il rapporto tra la Fiat e il Paese è di importanza storica ma non sempre è stato sano. Darebbe soddisfazione forse ad un politico di vecchia maniera poter dire: ho insistito affinchè la Fiat continui a sviluppare investimenti in Italia. Ma chi gestisce la Fiat ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti e le localizzazioni più convenienti e non ha nessun dovere di ricordarsi solo dell'Italia». Insomma lui non è un politico vecchia maniera ma nuova maniera.
E tanto per restare al passato e alle vecchie maniere, ricorda la decisione che portò – negli anni '80 – il Governo dell'epoca a impedire a Ford di acquisire l'Alfa Romeo. «È stato improprio nel caso di Fiat ma anche di molte imprese italiane che lo Stato intervenisse con i soldi del contribuente per tranquillizzare le proprietà e i lavoratori e questo è avvenuto tantissime volte per la Fiat e questo è quello che io devo impedire come premier e come ministro dell'Economia». E cita a proposito anche il recente «no» alle Olimpiadi. I 3mila imprenditori si scaldano, lo applaudono con convinzione ma lui li gela: «Devo stare attento agli applausi perché in passato avete applaudito anche ad affermazioni opposte».
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