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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2012 alle ore 07:46.

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ROMA. Sulla riforma del mercato del lavoro, la posizione di Giorgio Napolitano (che molto probabilmente incontrerà oggi Monti al Qurinale) è che la scelta del veicolo normativo debba essere conseguente a quella che i suoi collaboratori definiscono «la dichiarata volontà di una interlocuzione con il Parlamento».

Non potrà essere dunque un decreto legge, quello che oggi il governo dovrebbe annunciare al termine del nuovo round a palazzo Chigi con le parti sociali. Si ragiona sullo strumento del disegno di legge ordinario, che apre la strada (anche più del disegno di legge delega) a possibili modifiche soprattutto sulle modifiche in arrivo sull'articolo 18. La variabile politica è decisiva, se considera che il Pd rischia una profonda spaccatura su questa decisiva questione con possibili effetti sulla tenuta della coalizione. Il sostegno di uno dei tre "azionisti" dell'attuale maggioranza è prezioso al pari di quello degli altri.

Nei contatti di queste ore, a partire dall'incontro di lunedì sera al Colle con Mario Monti ed Elsa Fornero, la linea di Napolitano non è mutata: occorre senso di responsabilità da parte di tutti nell'interesse superiore del paese, e la riforma è tanto più solida quanto maggiore sarà il consenso con il quale farà il suo ingresso in Parlamento. Si attende in ogni caso l'esito dell'incontro di oggi. La riforma del mercato del lavoro - ha osservato il Capo dello Stato in margine della sua visita a Vernazza, il borgo delle Cinque terre colpito dall'alluvione lo scorso 25 ottobre - non può essere identificata «con la sola modifica dell'articolo 18. Per poter dare un giudizio bisogna vedere il quadro di insieme». Dovrà essere il governo a decidere la «forma legislativa», ma è evidente che l'indicazione di percorso che giunge dal Colle ha un peso determinante. «Mi auguro che ci sia attenzione e misura nel giudizio da parte di tutti. Poi, naturalmente, dopo che il governo avrà dato forma legislativa ai provvedimenti conseguenti, la parola passerà al Parlamento».

A Vernazza, Napolitano ha parlato di tutela del territorio e si è commosso rivolgendosi ai sindaci dei Comuni della Liguria, della Toscana e della Sicilia colpiti dalle alluvioni: «Quello che per voi è grande speranza, per me è grande responsabilità». Torna la questione delle risorse, da cui non si può prescindere. La riduzione selettiva della spesa pubblica - osserva il Capo dello Stato - è la strada maestra. «Non è vero che non esistono priorità, sarebbe la negazione della politica». Certo non si può prescindere dalla constatazione che le risorse a disposizione sono limitate: «Dobbiamo capirlo tutti. Non possiamo scaricare questa montagna di debito pubblico sui giovani. Con meno interessi da pagare, potremmo avere tra i 10 e i 20 miliardi di euro da destinare alle priorità». E tra queste in primissimo piano c'è la tutela del territorio, bene primario da preservare e tutelare. Lo si fa abbandonando la logica dei tagli lineari per avviare operazioni selettive: ridurre dove è necessario, incrementare le risorse nei settori strategici per il futuro del paese. È esattamente questo il compito della politica.

Sulla ricostruzione e sui problemi ambientali, «ci sono politiche su cui bisogna trovare una convergenza e poi andare avanti sulla strada decisa». Concetti che ha riaffermato nel pomeriggio a Borghetto Vara, il piccolo paese dell'entroterra spezzino che ha pagato il prezzo più alto in termini di vite umane nel corso dell'alluvione.

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