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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2012 alle ore 06:37.

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«La sconfitta nel referendum del giugno 1985 sulla scala mobile fece capire alla Cgil che le guerre ideologiche non pagavano e che invece conveniva guardare ai problemi del lavoro con un sano pragmatismo». Così Pierre Carniti, una vita da leader della Cisl e il più tenace sostenitore quasi trent'anni fa dell'accordo di San Valentino sulla scala mobile che segnò il primo grande "strappo" con la Cgil, spiega il senso del documento sui temi del lavoro e sulla necessità di rivedere l'articolo 18 che il Cnel approvò sempre in quel giugno del 1985 (si veda Il Sole 24 Ore di ieri che ne ha pubblicato alcuni stralci).
Un documento messo a punto da una commissione – di cui facevano parte anche l'allora segretario Cgil, Luciano Lama scomparso nel 1996, e il presidente di Confindustria Vittorio Merloni – che appunto chiedeva di ammorbidire l'articolo 18 rendendo obbligatorio il reintegro del lavoratore solo in limitati casi (motivi discriminatori e vizi di forma).
«Ecco, vedo oggi sull'articolo 18 lo stesso scontro ideologico che c'era sulla scala mobile, insomma una battaglia di religione. Ma rispetto a trent'anni fa cambia la posta in gioco che allora, me lo faccia dire, era ben più seria di questa bagatella», spiega Carniti. Che aggiunge: «Allora l'inflazione viaggiava al 21%, anche Lama aveva capito che bisogna intervenire ed era d'accordo sulla sostanza con noi, ma il pressing del Pci che tentava di colonizzare la Cgil lo aveva messo alle strette e cedette a quelle pressioni». Per Carniti, oggi invece, la riforma dell'articolo 18 è più una questione «simbolica», un «problema di immagine con l'Europa» che dal punto di vista della crescita e dello sviluppo «sposta poco, sono altre le misure che aiuterebbero l'economia». In più l'ex sindacalista della Cisl vede «molta insipienza» nel Governo dei tecnici che «sono sicuramente molto preparati – avverte Carniti –, ma non mi sembrano capaci a negoziare. Non si può andare a trattare senza cercare di non far perdere la faccia alla controparte».
Viene invece «molta amarezza» a leggere quel testo del Cnel sull'articolo 18 di 27 anni fa a Giorgio Benvenuto, l'altro indiscusso leader sindacale di allora – sponda Uil – e in seguito parlamentare del Pd: «Allora – ricorda – all'interno del Cnel e con l'appoggio dei sindacati, compresa la Cgil, c'era la maturità giusta per tentare un'opera di manutenzione e di aggiornamento sulla materia del lavoro, peccato aver perso quell'occasione». Anche perché «oggi quella serenità non la vedo», aggiunge Benvenuto che racconta un aneddoto sul documento del Cnel approvato allora anche dalla Cgil di Luciano Lama: «Sono convinto che a questo testo abbia lavorato anche Gino Giugni che non accettava quella lettura dell'articolo 18 decisa dal Parlamento e tra l'altro si seccava quando veniva chiamato padre dello statuto dei lavoratori».
Benvenuto è convinto che «allora come oggi» la maggioranza dei lavoratori non sia «antagonista», ma invece punti a «partecipare di più» alla vita dell'impresa. E cita un altro documento uscito sempre negli anni ottanta dal Cnel: «Si trattava di una bozza di disegno di legge, nato per valorizzare proprio il ruolo del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, a cui avevo lavorato io e Piero Boni della Cgil che puntava a far collaborare i lavoratori nella gestione dell'impresa proprio come accade oggi in Germania. Perché, se l'azienda va bene, va bene anche per i lavoratori». Insomma l'Italia sembrava poter anticipare, quasi trent'anni fa, quel modello tedesco di cui tanto si parla oggi e «che dovrebbe essere valorizzato in questo momento di scontro ideologico sull'articolo 18 che mi sembra solo uno scalpo da dover mostrare a tutti i costi all'Europa».
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IL DOCUMENTO
L'anomalia del reintegro
Il Sole 24 Ore di ieri ha pubblicato ampi stralci di un documento approvato nell'85 dal Cnel, con voto favorevole della Cgil, per rivedere l'articolo 18

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