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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2012 alle ore 18:29.

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La Cina sta entrando in una difficile fase di transizione che la condurrà a una crescita meno sostenuta e al tempo stesso verso un modello di sviluppo differente. Questa è la conclusione a cui sono arrivato dopo aver preso parte al China Development Forum di quest'anno, a Pechino. E probabilmente non sarà solo una transizione economica, ma anche una transizione politica, e questi due processi interagiranno fra di loro con meccanismi complessi. La passata esperienza di successo economico sotto la guida del Partito comunista non è garanzia di un successo comparabile in futuro.

Se non credete a me, basta che leggiate le parole del primo ministro uscente Wen Jiabao, che il 14 marzo ha dichiarato: «Le riforme in Cina sono arrivate a una fase critica. Se non riusciremo a introdurre riforme politiche strutturali, non possiamo sperare di realizzare fino in fondo le riforme economiche strutturali. I progressi che abbiamo realizzato dal punto di vista delle riforme e dello sviluppo potrebbero essere vanificati, potremmo non riuscire a risolvere alla radice i nuovi problemi che stanno emergendo nella società cinese e potremmo dover fare di nuovo i conti con una tragedia storica come la Rivoluzione culturale».

Questi problemi politici sono importantissimi, ma anche la transizione economica in sé e per sé non sarà affatto semplice. La Cina sta arrivando al termine di quella che gli economisti chiamano «crescita estensiva», trainata dall'incremento di manodopera e capitale, e deve passare ora alla «crescita intensiva», trainata dal miglioramento delle competenze e delle tecnologie. Una delle conseguenze sarà un brusco rallentamento del tasso di crescita, che negli ultimi trent'anni ha rasentato il 10% annuo. A rendere ancora più difficile questa transizione è la natura specifica della crescita estensiva cinese, in particolare l'eccezionale tasso di investimenti e la forte dipendenza dagli investimenti come fonte di domanda.

La Cina sta cessando di essere un Paese con eccedenza di manodopera, secondo i criteri del modello di sviluppo del compianto Arthur Lewis, l'economista premio Nobel originario dei Caraibi. Lewis sosteneva che il reddito di sussistenza della manodopera agricola in eccedenza tiene bassi i salari nel settore più avanzato dell'economia, rendendo quest'ultimo estremamente redditizio. Se questi profitti elevati vengono reinvestiti, come in Cina, il tasso di crescita del settore avanzato, e quindi dell'economia, sarà molto alto. Ma a un certo punto la manodopera nel settore agricolo comincerà a scarseggiare e questo farà salire il costo della manodopera per il settore trainante, portando a una contrazione dei profitti e a un calo dei risparmi e degli investimenti, man mano che l'economia diventa un'economia matura.

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