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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2012 alle ore 08:10.

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ROMA - Fare ogni sforzo per salvaguardare la coesione sociale «nell'interesse generale del paese». Giorgio Napolitano ha ricevuto ieri mattina al Colle Mario Monti, il ministro del Lavoro Elsa Fornero e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà per una panoramica a tutto campo delle misure che il governo ha illustrato nel pomeriggio alle parti sociali, in previsione delle decisioni che assumerà oggi il Consiglio dei ministri. Un appello che lascia chiaramente trasparire l'orientamento del Capo dello Stato sullo strumento normativo cui affidare la riforma del mercato del lavoro.

Prende corpo un disegno di legge che conterrà alcune deleghe, dunque un provvedimento aperto alla più ampia discussione in Parlamento e alle modifiche che si renderanno necessarie. Il nodo è la norma sui licenziamenti per motivi economici, che potrebbe essere riformulata proprio nel corso dell'iter parlamentare. Modifiche che sarebbero state in gran parte precluse che si fosse adottato un decreto legge, per sua natura sostanzialmente blindato, anche perché (com'è avvenuto regolarmente finora) l'iter si sarebbe concluso con il rituale ricorso al voto di fiducia.

Napolitano ha rinnovato a Monti e al ministro Fornero le sue riserve sull'uso eccessivo della decretazione di urgenza, che si traduce di fatto in una netta diminutio delle prerogative del Parlamento. Per non parlare poi della prassi, più volte stigmatizzata anche con atti formali, a inserire nel corso dell'iter parlamentare di conversione norme le più disparate, spesso estranee al contenuto proprio del decreto. Ma anche al di là del dato, decisivo peraltro, relativo alla scelta definitiva del veicolo legislativo per la riforma del lavoro, è evidente la preoccupazione del presidente della Repubblica di evitare che il braccio di ferro sull'articolo 18 (una parte, non certo tutto il provvedimento, ribadisce) finisca per vanificare l'intera ratio di una riforma che contiene diversi, interessanti elementi di novità.

Nel corso del colloquio, Napolitano e Monti hanno affrontato anche la questione apertasi in seguito ai rilievi della Ragioneria sulle coperture al decreto sulle liberalizzazioni, varato ieri in via definitiva dalla Camera. Si prende atto al Colle dei chiarimenti forniti ieri in aula dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, soprattutto in relazione al via libera da parte della commissione Bilancio alle coperture.

Sulla riforma del mercato del lavoro, Napolitano ha esercitato un'evidente moral suasion nei più delicati passaggi di questo rush finale della trattativa. E – si ragiona al Quirinale – i risultati sono evidenti, sia nel merito delle norme prospettate alle parti sociali che nella riformulazione di tempi e metodi per la presentazione in Parlamento dell'intero pacchetto. Anche l'impegno assunto da Monti ad «evitare abusi» per quel che riguarda i licenziamenti per motivi economici è frutto del pressing del Colle.

Napolitano guarda, com'è evidente, all'interesse generale, auspica la più larga condivisione e dunque non può che registrare con preoccupazione la posizione del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani proprio sulla prospettata revisione dell'articolo 18 (lunedì si esprimerà la direzione del partito), nonché la reazione della Cgil, che resta pur sempre il principale sindacato italiano. Elementi – ragiona Napolitano – di cui non si può non tener conto.

Bersani ha assicurato che non è certo in discussione il sostegno al governo, ma è evidente il disagio all'interno di uno dei principali "azionisti" del governo Monti. Il richiamo alla coesione sociale poi punta a ricomporre il contrasto con la Cgil. Non è un'ottica concertativa, ma la preoccupazione di non ingenerare tensioni sociali in un momento di acuta crisi, che resta tuttora assai complesso. La discesa dello spread è il sintomo di una riconquistata fiducia da parte dei mercati, ma si fa presto a perderla nuovamente.

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