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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2012 alle ore 08:40.

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L'arcivescovo Giancarlo Bregantini (Fotogramma)L'arcivescovo Giancarlo Bregantini (Fotogramma)

Spunta, il giorno dell'incontro finale tra governo e parti sociali, il disagio del mondo cattolico su alcuni aspetti della riforma del mercato del lavoro. E non della base, ma dell'espiscopato. «Il lavoratore non è una merce. Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio» ha detto l'arcivescovo Giancarlo Bregantini, capo-commissione Cei per il Lavoro, sulla riforma Fornero. «In politica - ha detto a Famiglia Cristiana - l'aspetto tecnico sta diventando prevalente sull'aspetto etico».

Bregantini, presule di Campobasso e già a Locri - in prima fila contro la criminalità - ha speso parole che fino ad oggi nessun vescovo aveva espresso: «Bisogna chiedersi, davanti alla questione dei licenziamenti, chiamati elegantemente, con un eufemismo, "flessibilità in uscita", se il lavoratore è persona o merce». Parole che irrompono nel dibattito di una giornata-chiave. Tanto che in serata arriva anche una nota ufficiale della Cei, più cauta: «La situazione del mondo del lavoro costituisce un assillo costante dei Vescovi. La dignità della persona passa per il lavoro riconosciuto nella sua valenza sociale.

La Cei segue con attenzione le trattative in corso, confidando nel contributo responsabile di tutte le parti in campo, al fine di raggiungere una soluzione, la più ampiamente condivisa» ha affermato il portavoce Domenico Pompili. Lunedì prossimo la Cei riunità il Consiglio permanente, ed è da attendersi una presa di posizione molto articolata sul tema da parte del presidente, cardinale Angelo Bagnasco, che si spende con particolare energia a difesa della dignità del lavoro. Non è un caso che ieri proprio gli esponenti politici e sindacali più prossimi alla Chiesa, Pierferdinando Casini e Raffaele Bonanni, abbiamo sollevato dubbi. Che in qualche modo affondano le radici nelle discussioni e i documenti emersi dalla Conferenza di Todi di metà ottobre scorso, l'evento "rifondante" dell'impegno politico dei cattolici svoltosi alla vigilia della caduta di Berlusconi e l'arrivo del governo tecnico. Composto da ben tre esponenti - Riccardi, Ornaghi e Passera - che di quella conferenza furono tra i protagonisti, oltre a Bagnasco e Bonanni.

È quindi di tutta evidenza che queste prese di posizione sono piombate sul tavolo del dibattito politico-sindacale attorno al lavoro, di cui peraltro si sono lungamente occupate le Settimane Sociali di Reggio Calabria, che hanno sposato la linea della flexsecurity. «Ma la base cattolica è anche fortemente riformista e non teme una maggiore, giusta, flessibilità» avverte Luca Diotallevi, vice presidente delle Settimane Sociali. La chiesa italiana fin dall'inizio ha sostenuto il governo Monti - definendolo di "buona volontà" - e anche due giorni fa, al pranzo con i nuovi cardinali, ha incassato il sostegno del cadinale Bertone, segretario di Stato. È in questo quadro "pacifico" che sta avvenendo la revisione dell'Imu sui beni ecclesiastici, ma evidentemente il disagio sta crescendo e inizia a venire gradualmente allo scoperto.

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