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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2012 alle ore 19:07.

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Sono tanti, ordinati e pazienti i cittadini di Honk Kong che da ieri mattina affollano il cortile dell'Hong Kong Politechnic University per partecipare alla simulazione di voto organizzata dal Public Opinion Programme dell'University of Hong Kong.

Una lunga serpentina di uomini e donne di ogni età e professione attende con calma di raggiungere i seggi: si guardano intorno, leggono il giornale e si coprono il volto se qualche obbiettivo li punta troppo a lungo. E non potrebbero fare altrimenti, perché sanno benissimo quanto il loro gesto infastidisca il Governo cinese. Nella democrazia di Hong Kong, infatti, la popolazione non ha alcun diritto di scegliere il capo dell'esecutivo, che è invece votato solo da un comitato elettorale di 1.200 persone selezionate dal Governo centrale. Questo comitato, che rappresenta appena lo 0,02% degli oltre 7 milioni di abitanti dell'ex-colonia britannica ed è composto da esponenti dell'alta società che strizza l'occhio a Pechino, ha facoltà di scegliere uno dei tre candidati, di cui due sostenuti da Pechino (Henry Tang e Leung Chen-Ying) e un terzo indipendente (Albert Ho, presidente del Partito Democratico locale), privo però di ogni possibilità di vittoria in quanto appoggiato solo dai ceti popolari.

Ad oggi (24/03), dopo 36 ore dall'apertura della simulazione, si contano già oltre 120.000 votanti on-line e diverse migliaia ai seggi, sparsi per la città e gestiti da volontari del Public Opinion Programme. Le code, già lunghe ieri mattina, si sono ulteriormente allungate dopo che alcuni attacchi di hacker hanno messo fuori uso il sito http://popvote.hk, costringendo gli organizzatori e i volontari di alcuni seggi a passare dal sistema informatico alla carta. Ciò non ha tuttavia dissuaso gli hongkonghesi, che sono rimasti fino a tarda notte in coda. «Non mi importa attendere trenta o quaranta minuti. Anzi, sono entusiasta che ci sia tutta questa partecipazione!», ha dichiarato una donna che ha raggiunto la fila dopo essere uscita da lavoro. «Sono qui perché se non facciamo sentire la nostra voce adesso, non potremo più farlo in futuro», ha affermato un uomo, ormai quasi arrivato alle urne.

Non è un caso che la simulazione delle elezioni sia iniziata proprio ieri (23/03), a due giorni dall'elezione ufficiale dello Chief Executive (25/03), l'amministratore delegato controllato da Pechino che governerà la politica interna e l'economia dell'ex-colonia per i prossimi cinque anni. Con quest'iniziativa – ufficialmente utile a raccogliere dati sull'opinione pubblica – la gente vuole dimostrare il proprio desiderio di partecipare alla vita democratica di quello che è ormai uno dei pilastri non solo dell'economia cinese, ma di tutta l'Asia: questo ex villaggio di pescatori, Regione Speciale Amministrativa (Sar) della Cina fino al 2047, è infatti diventato nel corso degli ultimi decenni la decima economia al mondo, con un Pil cresciuto del 5% nel 2011 e un export che ha segnato un +10% nello stesso anno. Ma l'attenzione su Hong Kong non dipende solo dalla sua importanza economica: infatti, oltre ad essere l'avamposto per gli interessi dell'Occidente in Asia, il Porto Profumato (questo significa Hong Kong) è un luogo molto delicato per gli equilibri del governo di Pechino.

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