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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2012 alle ore 06:42.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
Alle tante voci che si stanno alzando sulla dotazione del futuro fondo salva-Stati, in vista del vertice apparentemente decisivo dell'Eurogruppo di venerdì a Copenaghen, si è aggiunta ieri quella dell'Ocse. «Servono almeno mille miliardi», ha detto il segretario generale Angel Gurria nel presentare a Bruxelles i due rapporti economici sull'eurozona e sull'Unione europea. Cifra che si aggiunge, al rialzo, a quella attuale (500 miliardi), a quella ipotizzata in modo peraltro non esplicito dalla cancelliera tedesca Angela Merkel (740 miliardi) e a quella proposta dalle Commissione Ue (940 miliardi).
«Per recuperare la fiducia dei mercati - spiega l'organizzazione parigina - i dispositivi dello scudo di protezione europeo devono essere ulteriormente rafforzati e la loro credibilità aumentata. Per allentare le tensioni, i finanziamenti devono essere messi a disposizione in misura e con modalità sufficienti per poter rispondere a ogni futura richiesta di assistenza finanziaria. Queste eventuali necessità potrebbero soddisfare i bisogni di finanziamento dei Paesi più vulnerabili della sona euro, stimati in oltre mille miliardi per i prossimi due anni. Anche se non è certo che simili volumi siano mai utilizzati».
Certo l'Ocse si pone anche il problema delle difficoltà che una simile decisione potrebbe comportare per i diversi Paesi, Germania compresa («Il rafforzamento dello scudo deve tener conto dell'impatto sui conti pubblici»), ma insiste nel ritenere che «il modo in cui verrà superata l'attuale crisi creerà dei precedenti determinanti per il futuro funzionamento dell'Unione monetaria».
«Il livello attuale dell'impegno - ha sottolineato Gurria - non è sufficiente. Un fondo credibile darà inoltre ai Governi il margine di manovra indispensabile per potersi concentrare in maniera prioritaria sulla rivitalizzazione della crescita e della competitività europea».
Già, perché per l'Ocse il punto è questo: uscire con la maggior rapidità ed efficacia possibili dalla crisi dei debiti sovrani per concentrarsi sulla ripresa: «L'Europa è a un punto morto e deve passare alla velocità superiore facendo della crescita la priorità numero uno». Scommettendo, come ripete da sempre l'Ocse, sulle tante riforme strutturali che aspettano di essere varate, implementate, consolidate, ampliate.
«Una situazione finanziaria debole, l'andamento deludente dell'economia e gli sforzi che i Paesi stanno compiendo in termini di risanamento dei conti pubblici - spiega Gurria - limitano la domanda a breve prima che si avvertano i benefici di lungo periodo sulla stabilità e la crescita. Misure decisive devono essere prese subito per sostenere la domanda. Serve un cambiamento di rotta radicale dal punto di vista dell'impegno politico riguardo al mercato unico. Le recenti misure prese in particolare da Grecia, Italia, Spagna e Portogallo rappresentano dei passi avanti importanti verso delle prospettive economiche migliori, ma le sfide restano enormi. Bisogna avere un programma più ambizioso di riforme dei mercati dei servizi, dei prodotti e del lavoro, nonché dei sistemi fiscali e di formazione». L'Ocse ricorda il rapporto Bouis-Duval dell'anno scorso, secondo il quale la somma delle riforme auspicate dall'organizzazione avrebbe un impatto positivo sul Pil fino a 19 punti nei prossimi dieci anni (è il caso del Belgio, l'Italia è a circa 15 punti).
Gurria insiste soprattutto sul mercato del lavoro, puntando il dito sui 24 milioni di disoccupati in Europa, «quando la maggior parte dei Paesi segnala un aumento delle difficoltà di reperimento di manodopera qualificata in alcuni settori». Più flessibilità sul livello delle retribuzioni, quindi. Meno protezioni, meno garanzie per gli "insider" del mercato del lavoro, che spesso rappresentano un ostacolo all'ingresso dei giovani. E meno restrizioni alla mobilità, all'interno dei Paesi e tra i diversi mercati europei.
«La crisi - ribadisce Gurria - offre grandi opportunità per cambiare e ritrovare la strada della crescita. Bisogna saperle cogliere».
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