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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2012 alle ore 09:36.

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Chi ha impostato la "battaglia della vita" tra il sì e il no alla Tav Torino-Lione non sarà mai soddisfatto fino a quando qualcuno o qualcosa consentirà di dire che quella ferrovia non si fa più. Ma questa è battaglia solo ideologica, buona ad alimentare il narcisismo della rivoluzione. La Tav Torino Lione, ormai è assodato, si farà. Ma non come era stato ipotizzata nella sua prima versione: probabilmente si trasformerà in una versione low cost o, meglio, in un tracciato short.

È intelligente dunque il "lavoro di fino" che sta compiendo, con pazienza, coraggio e molto buonsenso, l'Osservatorio presieduto da Mario Virano. L'illustrazione fatta ieri ai sindaci sulle novità del disegno del percorso, sui costi e benefici di un'opera infrastrutturale gigantesca, ma strategica per l'Europa, e dunque anche per l'Italia, è stata efficace se, ad esempio, Piero Fassino ha potuto dichiarare che si è trattato di una esposizione «esaustiva» e se il Governatore Roberto Cota ha potuto dire che «le scelte le fa la maggioranza ma vanno spiegate». Cosa ieri realizzata con cura puntuale e con toni pacati anche durante le fasi di confronto più concitato.

Il tracciato è stato ridotto, scandito in nuove fasi operative che consentono anche di gestire al meglio le conseguenze ambientali dei grandi lavori. Il materiale sarà trasportato tutto su rotaia, le vibrazioni gestite ai livelli minimi; Susa avrà una stazione internazionale; il raccordo con la vecchia ferrovia valorizzerà appieno, e per un tratto più lungo, il buon potenziale del vecchio tracciato. Chi ha negoziato non il "no a prescindere" ma il miglioramento, giorno dopo giorno, della fase esecutiva dell'opera può ben dire di avere ottenuto grandi risultati. Il più grande però lo ottiene il Paese tutto perché l'Italia resta a testa alta in Europa senza lo stigma dell'inaffidabilità.

È importante che la discussione sia rimasta entro il canone del confronto civile e argomentato. Ne guadagna il risultato concreto e la consistenza del consenso. Ben altro schema rispetto a quello di chi occupa le sale dove deve parlare il procuratore Giancarlo Caselli o di chi occupa le strade per far valere una posizione sempre più ideologica e ossificata sull'idea dello scontro per lo scontro. Così non si va da nessuna parte e non basta autodefinirsi "nuovi partigiani" per acquisire una patente morale o politica. In gioco c'è la credibilità di un intero Paese, la sua voglia di credere nel futuro, la sua stessa articolazione della democrazia "applicata". Non basta un no.

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