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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2012 alle ore 08:09.

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SIVIGLIA - «A cosa serve questo sciopero? Mah, forse non serve a niente. Nessuno ci ascolta, il Governo non cambierà le regole sui licenziamenti perché lo diciamo noi, ma almeno proviamo ad alzare la voce». Manolo Ramos - una laurea da studente-lavoratore, autista di autobus a Siviglia per 1.500 euro al mese con gli straordinari - è fermo al terminal principale, alla periferia della città andalusa. Dice quello che i suoi leader sindacali non potranno mai ammettere: lo sciopero generale non servirà a convincere il premier conservatore Mariano Rajoy a tornare sui suoi passi, non porterà a ridiscutere la riforma del mercato del lavoro. Incrocia le braccia, le maniche della camicia arrotolate, come in un poster d'altri tempi, ma ha solo 32 anni, «quasi dieci di anzianità, quattro passati con la paura di questa crisi che chissà per quanto ancora ci accompagnerà». Si sente disarmato e senza protezione, a casa ha moglie e due figli: «Mio fratello ha già perso il lavoro, tutti abbiamo amici che sono rimasti a casa»: il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 23% e si prevede che a fine anno saranno sei milioni gli spagnoli senza lavoro. «Il Governo - dice - guarda solo a Bruxelles e ai mercati ma qualcuno a Madrid, prima o poi, si accorgerà che se la gente come noi non ce la fa più, se non c'è più lavoro, beh, che valore hanno i numeri dell'Ibex e i trattati dell'Unione europea?».

Lo sciopero generale di ieri è stato organizzato dai due grandi sindacati spagnoli per contrastare la riforma voluta dal Governo popolare e diventata legge in febbraio senza alcuna concertazione con le parti sociali, nemmeno con le organizzazioni delle imprese. Una procedura irrituale seguita anche dal precedente Governo socialista guidato da José Luis Zapatero che già era intervenuto per dare flessibilità al mercato del lavoro.
Due le misure più controverse in un impianto che cambia radicalmente la contrattazione e i meccanismi in entrata e uscita da un mercato del lavoro nel quale non esiste l'articolo 18 e l'impresa anche dopo la decisione del giudice sul reintegro può sempre scegliere di licenziare pagando un indennizzo al dipendente. La prima è la riduzione drastica dei costi per le imprese che intendono licenziare: la riforma di Rajoy abbassa l'indennizzo da 45 a 33 giorni per anno di impiego, per un massimo di 24 mesi anziché 42; e se l'impresa è in difficoltà, cioè ha subìto un calo di vendite nei nove mesi precedenti o lo prevede per i nove successivi (anche se vengono registrati utili di esercizio), dimezza il rimborso per i dipendenti a 20 giorni per anno lavorato, per un massimo di 12 mesi. La seconda riguarda le deroghe al contratto nazionale in caso di crisi aziendale: in presenza di «difficoltà economiche, problemi tecnici, organizzativi o di produzione» le imprese possono infatti decidere, in deroga ai contratti collettivi e senza negoziare alcunché con i dipendenti, di ridurre gli stipendi e modificare orari di lavoro e turni. Per le organizzazioni sindacali sono due provvedimenti che «fanno carne da macello dei lavoratori», per il Governo sono «passi necessari per rilanciare l'economia e ricominciare a creare nuovi posti di lavoro».

Contro la riforma ieri la Spagna si è fermata, con un alto tasso di adesione allo sciopero. I presidi informativi ai cancelli dei grandi stabilimenti industriali erano pronti da giorni. Le fiamme maleodoranti di pneumatici bruciati hanno illuminato all'alba alcuni scontri all'ingresso delle fabbriche e dei mercati generali, soprattutto in Andalusia. Ma la giornata è trascorsa senza incidenti gravi in tutte le città tranne a Barcellona dove a margine della manifestazione gruppi di black-bloc hanno distrutto alcuni negozi del centro. Violenti gli scontri con la polizia che ha usato proiettili di gomma.
Per Candido Mendez, della Union general de trabajadores, «lo sciopero è stata un successo democratico e sociale, con un'adesione media del 77%, una grande prova di maturità di milioni di lavoratori che chiedono, è un segnale chiaro, la modifica della riforma nel prossimo mese». «Se il Governo ci ascolterà - ha aggiunto Ignacio Fernandez Toxo, della Comisiones Obreras - il conflitto sociale potrà essere ricomposto, altrimenti continueremo a lottare».

Il Governo ha minimizzato l'impatto dello sciopero sottolineando che il calo nei consumi elettrici - utilizzati in Spagna come misura dell'attività economica - è stato del 16,4%, un dato inferiore a quello registrato nel precedente sciopero generale, convocato contro il Governo Zapatero. E il ministro del Lavoro Fatima Banez ha respinto la richiesta dei sindacati: «La legge non sarà cambiata perché ha già l'appoggio di 197 deputati su 350 al Congresso».
Juan Rosell, il presidente della Ceoe, la confindustria spagnola, chiede di «tornare da domani alla normalità». Anche tra le imprese c'è qualche dubbio sulla riforma, non sul contenuto ma sul metodo: «Il mercato del lavoro andava sbloccato e le nuove regole vanno nella giusta direzione. Tuttavia in una fase di decrescita come questa faranno aumentare i licenziamenti e creeranno forti tensioni. Quando si è in crisi il dialogo con le parti sociali non è di secondaria importanza», dice un dirigente di un grande gruppo automobilistico straniero.
E la crisi non molla la presa sulla Spagna con il Pil che scenderà di un altro 1,7% da qui a dicembre e il Governo di Rajoy costretto a rifare i conti per ridurre il defict dall'8,5% al 5,3% del Pil entro l'anno, come concordato con l'Unione europea. Oggi dovrà presentare una manovra finanziaria senza precedenti: 35 miliardi di euro per il 2012, che con la recessione e i crescenti costi della disoccupazione potrebbero diventare più di 60 miliardi.

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