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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2012 alle ore 19:25.

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Meno ricavi, più perdite e più debiti. Sei parole che spiegano in sintesi il flop del calcio, come descritto in un analitico rapporto curato dalla PriceWaterhouse e dall'Arel, in uno studio congiunto insieme alla Federcalcio.

Il «Report Calcio 2012» dice che il buco prodotto dal calcio professionistico italiano si sta allargando, nell'ultima stagione sportiva, secondo i bilanci al 30 giugno 2011, la perdita netta aggregata delle squadre di serie A, serie B e della Pro di prima e seconda divisione è stata di 428 milioni di euro, in aumento di quasi 81 milioni (+23,2%) rispetto alla stagione precedente. Un dato preoccupante, perché la perdita nella stagione precedente era rimasta pressoché stabile, solo sette milioni in più rispetto ai 340 milioni dell'esercizio chiuso al 30 giugno 2009.

Il totale del valore della produzione del calcio professionistico è pari a 2.477 milioni, il giro d'affari è in calo dell'1,2% rispetto alla stagione precedente. La serie A rappresenta l'82% dei ricavi e il 70% delle perdite, con un risultato netto in rosso per 300 milioni su un valore della produzione complessivo di 2.031 milioni, ottenuto sommando i bilanci dei 20 club del massimo campionato.

Le avvisaglie della crisi si vedono nel calo dei ricavi della serie A, il valore della produzione è diminuito del 3,2% rispetto all'anno precedente. E in questi ricavi ci sono anche le plusvalenze da cessione calciatori: lo spaccato del giro d'affari mostra che i «ricavi di vendita» della serie A sono pari a 1.674 milioni (40 milioni meno del 2010), mentre i «ricavi da plusvalenze» sono pari a 357 milioni (26 milioni in meno dell'anno precedente). Questa classificazione è discutibile. Sarebbe più corretto, per rappresentare l'andamento della gestione dei club, scorporare le plusvalenze dai ricavi, come fa ad esempio Deloitte nella rassegna sul Football europeo, e indicarle più a valle nel conto economico come proventi straordinari.

La serie B incide per il 14% sui ricavi totali e per il 17% sulle perdite, il bilancio aggregato dei suoi 22 club indica una perdita netta di 73 milioni e un valore della produzione di 336 milioni. In rosso anche le due leghe Pro, la prima divisione ha una perdita netta di 44 milioni su 74 milioni di valore della produzione; la seconda divisione ha una perdita netta di 12 milioni su 36 milioni di giro d'affari.

L'altro elemento di spicco evidenziato dallo studio è l'aumento dell'indebitamento della serie A, salito del 14% a 2.659 milioni di euro. Ma i debiti finanziari, verso le banche o altri finanziatori, per esempio per leasing o cessione di crediti, si sono impennati del 50%, da 619 a 928 milioni. Secondo lo studio «il valore patrimoniale della serie A al termine dell'ultima stagione sportiva è pari a 3.088 milioni, in aumento dell'1,7% rispetto alla stagione sportiva precedente». In questo importo è incluso il valore dei diritti pluriennali sui calciatori, cioè il cartellino dei giocatori, a volte iscritto a valori gonfiati o irrealistici, perché frutto di scambi o comproprietà a prezzi "dopati". Il patrimonio netto delle venti squadre di serie A è molto più basso, è crollato ad appena 150 milioni al 30 giugno scorso, dai 354 milioni del 2010 e 385 milioni del 2009.

Questo significa che, con la crisi, gli azionisti che sperperano il denaro comprando calciatori e strapagandoli (il costo del lavoro in serie A è stato di 1.159 milioni, lo 0,6% in meno dell'anno precedente; nell'aggregato di serie B e Lega Pro è diminuito di dieci milioni a 1.450 milioni), mettono sempre meno capitale nei loro club e corrono a chiedere soldi in prestito alle banche. Ma quanto potrà durare?

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