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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2012 alle ore 09:14.

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«Le forze politiche italiane si dimostrano vitali e capaci di guardare con grande responsabilità all'interesse del Paese»: dopo giorni di tensione la lettera di Mario Monti al Corriere della sera arriva come un riconoscimento ai partiti. E smorza un po' l'effetto delle frasi pronunciate dal premier durante il viaggio in Asia sul consenso dei politici in calo nei sondaggi a fronte della popolarità dei "tecnici". Alla vigilia della presentazione del testo della riforma del lavoro, che resta il nodo più grande da sciogliere sulla strada della sopravvivenza del Governo, le parole di Monti aiutano certamente a rasserenare il clima.
Come subito notano sia nel Pdl che nel Pd. «È una lettera positiva, che chiarisce – riconosce il leader democratico Pier Luigi Bersani –. Inutile mettere in contrapposizione tecnici e politici, perché il paese non ha bisogno di questo: serve che tecnici e politici affrontino insieme le emergenze del Paese». Toni più morbidi nei confronti del premier anche da parte del capogruppo azzurro in Senato Maurizio Gasparri: «Che i partiti stiano facendo un grande sforzo per sostenere nel Parlamento e nel paese l'opera di risanamento economico è un dato di fatto. E che il premier lo abbia voluto sottolineare con la sua lettera è certamente un fatto positivo dopo le incomprensioni e le discussioni dei giorni passati». Anche Pier Ferdinando Casini riconosce a Monti di aver rimediato all'incidente: sono i partiti a sostenere il governo – dice il leader centrista – e non certo «lo spirito santo».

Pace fatta, dunque? I punti di attrito tra i partiti e tra i partiti e il Governo, in realtà, sono ancora tutti sul tavolo. A cominciare dalla riforma del lavoro. Non a caso ieri Bersani ha insistito molto sul punto dell'articolo 18. Insistendo sulla necessità di cambiare le regole sui licenziamenti per motivi economici e si mostra sicuro sul fatto che alla fine il parlamento correggerà il testo del Governo e sceglierà il modello tedesco – ossia è il giudice a scegliere tra reintegro e indennizzo in caso di licenziamento senza giusta causa – per tutte le tipologie. Il leader del Pd, rientrato proprio ieri da Lisbona, fa l'esempio del Portogallo. «È un Paese molto sorvegliato dalla Ue e dal fondo monetario – dice Bersani – nel quale si stanno prendendo varie misure e sui licenziamenti si ridefinisce il perimetro della giusta causa, ma nessuno pensa di togliere, in ultima istanza, la possibilità del reintegro da parte del giudice». Soprattutto, Bersani non vuol sentir parlare di testo immodificabile: «C'è stato il "salva-Italia", le liberalizzazioni, il decreto fiscale e si è discusso su tutto: anche su questo ci sarà una serena discussione parlamentare».

Segnali che il testo messo a punto dal Governo sia più "aperto" alla soluzione tedesca di quanto apparisse dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri in effetti ci sono (si veda l'articolo qui sopra). E Bersani confida anche nell'attenzione espressa in questi giorni dalla Cei in tema di lavoro e nell'opera di mediazione che potrà fare l'Udc in Parlamento. Così come nel fatto che, al di là degli slogan da campagna elettorale, anche il Pdl non ci tiene a passare per il partito dei licenziamenti. Legate alla riforma del mercato del lavoro sono semmai per i berlusconiani le parallele partite su Rai e giustizia. Anche se Bersani smentisce categoricamente ipotesi di «scambi»: «Flessibili sì, ma su certi punti non ci spezziamo».

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