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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2012 alle ore 09:16.

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«La Banca centrale europea ha fatto tutto quello che doveva, adesso tocca alla politica». Rispetto all'estate scorsa, quando Jürgen Stark si era dimesso dal comitato esecutivo e dal consiglio direttivo della Bce dopo aver pesantemente criticato il programma di acquisti di titoli di stato da parte dell'Eurotower (ai tempi ancora guidata da Jean-Claude Trichet), la posizione dell'economista tedesco nella sostanza non è cambiata di molto.
Però il clima sui mercati è sensibilmente migliorato, e anche Stark non può fare a meno di riconoscere che la gigantesca iniezione di liquidità attivata dall'Eurotower in questi mesi a qualcosa è servita: «Si è superato il rischio concreto di imboccare una crisi globale economica e finanziaria che avrebbe portato l'Europa al collasso», dice l'ex capo economista della Bce. «Comunque – tiene a sottolineare – siamo ancora a metà del guado, e se siamo usciti dalla fase peggiore il merito non è tutto degli interventi sul fronte della liquidità, ma anche del processo di riforme che si è innescato».

Ieri con l'accordo raggiunto sul fondo salva-Stati le scelte dell'Europa per fronteggiare la crisi erano d'attualità e al workshop Ambrosetti di Cernobbio l'intervento di Jürgen Stark era tra i più attesi. Liquidate le notizie relative all'intesa sul firewall in arrivo da Copenhagen con una battuta («Discutere di 700 miliardi o 800 non ha senso, l'importante è metterlo in piedi»), l'economista non rinuncia al suo tradizionale rigore e dice che a questo punto «la Bce non può fare altro per contribuire a risolvere la crisi del debito europea». Una posizione quasi opposta a quella di Nouriel Roubini («Lui vuole la monetarizzazione del debito, ma non è questa la soluzione») e invece molto vicina a quella di Christophe Frankel, direttore finanziario e vice direttore generale del fondo Efsf, anche lui ieri a Cernobbio, per il quale «l'attuazione delle riforme nei vari Paesi europei conta di più nella soluzione della crisi rispetto all'aumento della dotazione dei fondi salva-Stati».

Secondo Frankel «il mercato guarderà anche a ciò che le riforme rappresentano nel lungo periodo», e anche per Stark il punto è proprio questo: «Lo spread italiano in questi mesi è sceso perché il mercato ha preso atto positivamente degli sforzi condotti dalla politica per migliorare il sistema, ed è questa la strada su cui proseguire». In due modi: «Con un consolidamento del fisco e un programma ambizioso di riforme, esattamente come ha dato prova di voler fare il governo Monti, e non solo». Sì, perché per l'economista tedesco anche la Spagna, la Grecia e anche un po' la Francia sono sulla stessa barca, con i loro tentativi di cambiare le regole del gioco per migliorare il sistema. Ci riusciranno? «Speriamo. Ma in ogni caso questi sforzi dimostrano che l'Europa ha trovato il suo «piano d'azione» per uscire dalla crisi strutturale, a differenza degli Stati Uniti «dove invece le riforme finora sono state rinviate e i problemi così rischiano di restare insoluti». Anche perché, non manca di sottolineare l'economista pur a denti stretti, tra le frecce al suo arco l'Europa continua a disporre della liquidità con cui si sono irrorate le banche: «Se finora non si sono visti i risultati è solo perché ci vuole tempo. Ora le risorse sono a disposizione delle banche, e prima o poi le trasferiranno alle imprese e alle famiglie, dando così un'ulteriore spinta per la ripresa dell'economia».
Ma.Fe.

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