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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2012 alle ore 08:17.

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«Puntiamo a entrare nell'Unione europea entro il 2018. Su questo il Kosovo non rappresenterà un ostacolo rispetto ai tempi di marcia consueti per i negoziati, che per gli altri Paesi dell'Est Europa sono durati 5-6 anni. E stiamo lavorando per diventare il polo produttivo più appetibile per le grandi multinazionali ma anche per le Pmi, soprattutto del nord Italia, dal Trentino alla Lombardia sino al Friuli Venezia Giulia». È iniziata da Milano (dal workshop economico organizzato da Promos-Camera di Commercio) per concludersi ieri a Trieste la due giorni del presidente serbo Boris Tadic a sostegno dell'interscambio economico tra i due Paesi che nel 2011 ha toccato i 2,5 miliardi di euro. Un'aggressiva politica di attrazione degli investimenti esteri e un impegno preciso per entrare in Europa sono gli obiettivi perseguiti dal presidente che il prossimo 6 maggio cerca la riconferma nelle elezioni politiche.
Prima la Fiat, poi Italcementi e il gruppo siderurgico Danieli. Quanti e quali investitori italiani volete attrarre in Serbia?
Tutti coloro che vorranno venire saranno benvenuti. Dalle grandi multinazionali (che stanno giungendo, ad esempio, dalla Korea) sino alle Pmi più dinamiche del nord Italia, in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, oltre agli ottimi rapporti con il Trentino Alto Adige nel settore agricolo. Abbiamo fatto negli ultimi anni decisive riforme economiche e fiscali per massimizzare l'apertura al mercato, modernizzato le infrastrutture e informatizzato la pubblica amministrazione. Oggi in Serbia si trovano condizioni ottimali per produrre. La Fiat è un gradito ritorno. Parliamo della Zastava a Kragujevac. La prima collaborazione risale agli anni 50 ed è durata sino al 2007. Oggi Fiat automobili Serbia rinasce come controllata al 67% dall'azienda torinese e al 33% dallo Stato serbo. Non è quindi una delocalizzazione ma una joint-venture con lo Stato».
In Italia, però, è polemica sulla delocalizzazione di molte imprese, ad esempio il tessile, proprio verso la Serbia.
«Molti Paesi stanno affrontando questo risvolto della globalizzazione. L'Italia, dopo la Germania, è il secondo importatore di prodotti serbi. Le relazioni con il premier Mario Monti sono ottime. È nostro interesse che l'Italia non perda il suo know how e la sua industria. Non vogliamo impoverire l'Italia, semmai arricchirla, dare reciproche opportunità di crescita. Se l'Italia soffre, questo si ripercuoterà anche sugli investimenti verso i suoi partner, come la Serbia».
A che punto sono la trattative per l'adesione all'Unione europea?
«Abbiamo consolidato la nostra candidatura. Ai primi di marzo Bruxelles ha concesso alla Serbia lo status di Paese candidato. Entro la fine del 2012 dovremmo ottenere la data d'inizio formale dei negoziati di adesione alla Ue».
Quando pensa che la Serbia potrà essere ammessa?
«Abbiamo fatto le riforme che ci sono state chieste e siamo impegnati su questo cammino. Per gli altri Paesi dell'Est Europa ci sono voluti 5-6 anni. Puntiamo a entrare nei tempi necessari ai negoziati, quindi per il 2017-2018».
Però giovedì l'Europarlamento ha invitato la Serbia a non organizzare, il prossimo 6 maggio, giorno delle vostre elezioni nazionali, anche consultazioni locali nelle municipalità del Nord Kosovo. Crede che il nodo del Kosovo – che non riconoscete come indipendente – possa rallentare l'ingresso nella Ue?
«La nostra posizione non cambia. Noi non riconosciamo l'indipendenza del Kosovo, ma rispettiamo il diritto internazionale. E siamo impegnati a ricercare una soluzione di compromesso che tuteli i cittadini serbi che vi abitano. All'inizio dell'anno abbiamo avanzato una proposta in 4 punti per sciogliere una serie di questioni: uno statuto speciale di autonomia per il nord del Kosovo, tutele ad hoc per i luoghi sacri ortodossi e i monasteri, garanzie di sicurezza per le enclave serbe sull'intero territorio e il riconoscimento delle proprietà abbandonate dai cittadini serbi fuggiti dal conflitto su cui è in corso un contenzioso. Continueremo nella politica di integrazione nella Ue, ma senza rinunciare al Kosovo».
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LO SCENARIO

Investimenti
L'Italia con circa un miliardo di capitale è il sesto Paese investitore in Serbia nel periodo 2005-2010
Presenza
Secondo l'Ice, sono circa 200 le aziende italiane in Serbia, per un giro d'affari di 2,4 miliardi di euro e un livello occupazionale stimato intorno a 18mila addetti
Il numero di aziende italiane che hanno delocalizzato in Serbia negli ultimi anni è quasi triplicato

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