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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2012 alle ore 06:40.

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Si fanno meno rosee le prospettive per Eurolandia. A marzo l'attività manifatturiera ha continuato a rallentare – raccontano gli indici Pmi elaborati dalla Markit – e fanno prevedere un andamento del Pil, nel primo trimestre dell'anno forse inferiore alle attese finora dominanti; mentre la disoccupazione a febbraio continuava a salire tornando, al 10,8%, ai livelli di giugno '97, quando l'euro non esisteva ancora.
L'andamento dell'attività lascia poco spazio alle interpretazioni. Per l'intera Eurolandia, è stato pari a 47,7. Non è soltanto rimasta per l'ottavo mese consecutivo sotto la soglia dei 50, quella che separa la zona di "contrazione" - al di sotto di quel livello - da quella di "espansione", ma è anche il minimo da tre mesi, in calo da quel 49 di febbraio che lasciava ben sperare in una prossima fine della recessione.
Fin qui non c'è nulla di veramente nuovo, però: il dato di ieri conferma quello "flash", provvisorio e non dettagliato. La novità sta nell'andamento dei singoli Paesi, che segnala – come spiega François Cabau di Barclays – una convergenza dei Paesi più solidi verso quelli più deboli. Se l'Italia ha quindi deluso perché il suo 47,9 – il massimo da sei mesi – è inferiore alle attese, anche se superiore al 47,8 che Markit/Adaci aveva calcolato per febbraio, la Germania ha sorpreso perché il suo Pmi è sceso per la prima volta nel 2012, e bruscamente, al di sotto di quota 50, portandosi a 48,4 da 50,3; mentre l'indice francese, ai minimi da 33 mesi, scendeva intanto a 46,7 da 49,9. Sul fronte opposto si nota il rimbalzo dai minimi storici della Grecia (41,3) e il netto miglioramento dell'Irlanda (51,5, ai massimi da 10 mesi), due Paesi però piccoli per compensare l'indebolimento dei grandi. Solo la Spagna, nella periferia di Eurolandia, continua a perdere terreno (44,5 da 45), un'indicazione che conferma le difficoltà del Paese.
Aprile potrebbe non essere migliore, come nota anche Chris Williamson, capo economista della Markit. I nuovi ordini (sottoindice a 45,4 da 47,2) hanno subìto una forte frenata delle prospettive, tutta legata all'andamento della domanda interna (particolarmente debole in Italia): gli ordini dall'estero continuano infatti a contrarsi in tutta l'area, ma allo stesso ritmo (la componente è ferma a 48,4) di febbraio; solo la Germania ha visto la situazione peggiorare. Tutto questo proprio mentre gli Stati Uniti miglioravano (l'Ism manifatturiero di marzo, analogo al Pmi, è a 53,4 da 52,4) e la Gran Bretagna, a sorpresa, continuava a dare segnali incoraggianti (a 52,1, da 51,5, il Pmi).
In Eurolandia salgono solo i prezzi, e con velocità diverse: quelli degli input hanno accelerato (59,5 da 58,5) allontanandosi dalla media di lungo termine a 58; mentre il sottoindice degli output si è portato a 51,2 da 51,1, e resta al di sotto della media di lungo termine a 51,7. È il segnale che le aziende non possono – e la cosa non sorprende, considerata domanda e concorrenza – scaricare i rincari sui prezzi finali e riducono quindi i margini.
Il tentativo di abbassare di conseguenza i costi ha portato a una riduzione dei posti di lavoro in diversi Paesi: in Francia è la prima volta che accade in quattro mesi, mentre in Italia i tagli hanno visto un'accelerazione. In calo l'occupazione anche in Spagna e Grecia, mentre il mercato del lavoro tedesco è stato vicino alla stagnazione. Aumentano i posti di lavoro solo in Irlanda, Olanda e Austria.
Quella del Pmi «è una flessione che ha quasi cancellato tutti i miglioramenti conseguiti da dicembre 2011», riassume Raphael Brun-Aguerre di JPMorgan; e che minaccia le prospettive dell'economia reale. L'indice permette di capire con qualche anticipo l'andamento del Pil; il legame tra i due dati è però puramente statistico, e non sono mancati episodi importanti di "scollamento". L'indice Ifo tedesco di marzo, che svolge la stessa funzione, ha dato per esempio indicazioni non coerenti con quelle del Pmi, segnando un marginale miglioramento.
Resta il fatto che Eurolandia e diversi suoi Stati membri devono affrontare venti contrari, in una situazione di difficoltà (e di austerità) fiscali che non aiuta certo a frenare la caduta della domanda interna, e soprattutto quella degli investimenti. È quindi un buon motivo, per la Banca centrale europea, di tenere espansiva la politica monetaria, soprattutto ora che l'andamento dei diversi Paesi tende a convergere verso il basso.
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