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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2012 alle ore 06:37.

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ROMA.
Nonostante un'agenda fitta di incontri e di dossier – dal Medio Oriente alla Siria – Giorgio Napolitano nella sua prima giornata di viaggio in Giordania non si sottrae alle domande dei cronisti sul passaggio delicato che attende Governo e partiti. Il testo della riforma del mercato del lavoro – che sarà sulla scrivania del Colle a giorni – è il prossimo angolo da superare anche se ieri il clima tra le forze politiche sembrava più disteso. Il fatto è che la preoccupazione del capo dello Stato non si ferma alla riforma ma riguarda la situazione più complessiva del Paese come dimostrano i dati sulla disoccupazione, come raccontano le storie di aziende che chiudono. È sulla concretezza della crisi che Napolitano si sofferma ed è su questo terreno di realtà che inquadra la riforma del lavoro e riflette con i giornalisti che lo incalzano. «Non è che l'approccio del Governo non abbia nulla a che fare con la crescita. A chi dice all'Esecutivo di non cambiare il mercato del lavoro ma di occuparsi della crescita e della disoccupazione credo che il Governo risponda che un ostacolo allo sviluppo e all'occupazione sia rappresentato proprio da una situazione non soddisfacente, molto farraginosa, del mercato del lavoro. Quando si ritiene di dover intervenire sulla struttura delle relazioni industriali e su quella della contrattazione che richiedono di essere riformate - conclude il Presidente - lo si fa nella convinzione che ciò possa agevolare la crescita degli investimenti in Italia».
Dunque dal Quirinale arriva una "sponda" alle scelte di Mario Monti, nel senso di volerle inserire in un quadro di riforme pro-sviluppo visto che «c'è un problema molto serio di stagnazione». E così il Colle dà anche l'annuncio che «il Ddl sarà presentato di qui a qualche giorno». Stasera sarà lo stesso Giorgio Napolitano a verificare «lo stato dell'arte perchè il premier deve esaminare il progetto preparato dal ministro Fornero e vedrà se è pronto per sottoporlo alla mia firma». Insomma, si avvicina il momento cruciale sulla modifica dell'articolo 18 anche se, come sottolinea proprio il capo dello Stato, i problemi italiani non sono tutti lì. Anzi.
E di nuovo usa un esempio concreto per parlare della recessione italiana e togliere quel tanto di ideologia che ancora scorre sul capitolo licenziamenti. Prende il caso dell'impresa Alcoa, Napolitano, per mettere a fuoco i problemi "al netto" dell'articolo 18. «Il Governo ha disinnescato giorni fa, in un quadro di sollecitazioni in cui io non sono stato estraneo, il rischio di chiusura dell'Alcoa in Sardegna, che avrebbe determinato la perdita di centinaia e centinaia di posti di lavoro. Si tratta di una vicenda che non ha a che fare con l'articolo 18 vigente: se l'Alcoa avesse chiuso, altro che modifica dell'articolo 18. Ci sarebbe stata una grossa fetta di licenziamenti esecutivi». E questo è il nodo che arriva a toccare il capo dello Stato indicando come il «grumo di questioni con cui è alle prese il Governo» siano i cambiamenti tecnologici, le flessioni della domanda interna e internazionale. Un «grumo» che non ha solo la risposta nella riforma del lavoro ma nel debito pubblico «che è la conditio sine qua non per la crescita e su cui paghiamo 70 miliardi di interessi all'anno» mentre manca ancora una politica per la crescita in chiave europea.
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