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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2012 alle ore 08:20.

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Gli ultimi elementi emersi dalla vicenda che vede i due fucilieri di Marina Salvatore girone e Massimiliano Latorre prigionieri in India da un mese e mezzo contribuiscono in modo decisivo a trasformare in una farsa la disputa tra Italia e India. Le notizie pubblicate dal Times of India circa la ricerca di un’arma fantasma da parte della polizia del Kerala dimostra che la squadra investigativa speciale del commissario Ajith Kumar non ha trovato l’arma del delitto e che la perizia tarda a venire ufficializzata perché non è in grado di incastrare i due militari italiani.

Le "fonti autorevoli'' del quotidiano raccontano che ''l'arma usata da uno dei marò non è fra le sette sequestrate a bordo della nave'' e che ''qualche altra arma è stata utilizzata da uno dei militari per sparare contro il peschereccio St. Antony''. Il quotidiano aggiunge che ''le prove realizzate possono aver mostrato l'inconciliabilità fra le armi a disposizione ed i segni sui proiettili e le incamiciature'' recuperate. Poiché ogni arma da fuoco "firma" i proiettili che spara questo significa che i poliziotti e la magistratura del Kerala non hanno nessuna prova balistica contro i nostri militari e neppure nessuna testimonianza attendibile poiché i pescatori del Saint Antony, che pure hanno cambiato deposizione tre volte, non hanno mai detto di aver visto né il nome della nave dalla quale erano partiti i colpi che avevano ucciso due loro compagni né avevano visto in faccia chi stesse sparando.

Secondo il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, gli inquirenti indiani sono "confusi'' e non sembrano "sicuri dei risultati dei test realizzati in queste settimane'' anche perché si era detto che le armi requisite ai fucilieri sulla petroliera non erano 7 ma bensì 8: 6 fucili AR-70/90 e 2 mitragliatrici Minimi tutti calibro 5.56 millimetri.

Nonostante tutti gli elementi scagionino i due italiani o quanto meno non costituiscano prove contro di essi, le autorità indiane non solo continuano a tenere in carcere Latorre e Girone ma impediscono anche alla Enrica Lexie di salpare da Kochi. Un atteggiamento che sembra aver provocato la fiera reazione dei due militari che, come prigionieri di guerra, si sono rifiutati di rispondere alle nuove domande dei poliziotti indiani.

''Non riconosciamo il tribunale che ci interroga'' perché ''la posizione del nostro governo è che la giurisdizione su questa vicenda è italiana'' avrebbero risposto i due militari secondo quanto riferisce l'Ansa che lo avrebbe appreso da una fonte a conoscenza della vicenda. Dalla Farnesina o da altre fonti governative nessuna conferma circa una nuova linea difensiva basata sulla negazione della legittimità dei tribunali indiani che significherebbe di fatto la fine di ogni collaborazione con le autorità di Nuova Delhi.

Un comportamento che risulterebbe opposto a quanto finora affermato dalle istituzioni italiane che in questa vicenda non hanno certo brillato per trasparenza . Basti pensare che le autorità italiane non avevano neppure reso noto che venerdì scorso l'equipaggio della Lexie e i quattro marò a bordo erano stati nuovamente interrogati dagli agenti alla ricerca dell'arma fantasma. Certo il riserbo è prassi ormai consolidata determinato forse anche dal fatto che dopo un mese e mezzo di atteggiamento morbido e conciliante con Nuova Delhi i risultati sono disastrosi e imbarazzanti.

La crescente arroganza degli indiani e soprattutto l'ormai evidente assenza di prove a carico dei due militari e della petroliera Enrica Lexie potrebbero però costituire elementi sufficienti a indurre Roma ad alzare la voce non solo nel rapporto bilaterale ma soprattutto nei consessi internazionali e in particolare alle Nazioni Unite denunciando un'intollerabile e reiterata violazione del diritto. Anche perché l'impatto della vicenda sui militari è devastante sotto l'aspetto della percezione di assenza di tutele negli impegni oltremare.

Valutazioni che sono state ufficializzate dai rappresentanti del Cocer, l'organo di rappresentanza militare che nell'incontro con il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Biagio Abrate, hanno detto chiaramente che se i due marò subiranno un processo in India dovranno essere riviste le regole d'ingaggio adottate o si dovrà rinunciare a impiegare i soldati in attività anti-pirateria.

Negli ambienti militari molti sottolineano la differenza stridente tra la vicenda dei due fucilieri e quella del sergente statunitense Robert Bales, responsabile della strage di civili compiuta in un distretto della provincia afghana di Kandahar. I primi, innocenti e comunque accusati senza prove, sono prigionieri in India. Il secondo, colpevole per ammissione degli stessi comandi statunitensi, è stato evacuato immediatamente dall'Afghanistan e si trova in un carcere militare del Kansas in attesa del processo.

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