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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2012 alle ore 06:40.

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PARIGI.Dal nostro corrispondente
Anche l'ultimo dei grandi istituti di sondaggio francesi si è allineato. Secondo l'Ipsos, che ancora pochi giorni fa prevedeva il candidato socialista François Hollande vincente al primo turno, il presidente uscente Nicolas Sarkozy arriverà in testa, il 22 aprile, con il 29,5% dei voti, due punti in più del principale avversario. La rilevazione, come tutte le altre, continua invece a prefigurare una netta sconfitta di Sarkozy al secondo turno, il 6 maggio: 55 a 45. Perché Hollande, rispetto al presidente, può contare su un trasferimento di voti più cospicuo. La sinistra nel suo complesso è infatti accreditata di un 45,5% dei consensi, un livello mai raggiunto dai tempi del duplice successo di François Mitterrand, nel 1981 e nel 1988, nove punti più del 2007. Mentre la destra non va oltre il 31%, il centrista François Bayrou perde colpi e arretra verso il 10% e la frontista Marine Le Pen, dopo un avvio a gonfie vele, sembra essersi assestata intorno al 14 per cento.
A tirare la volata della sinistra è Jean-Luc Mélenchon con il suo Front de gauche. Che secondo Ipsos sarebbe ormai al terzo posto, proprio davanti alla figlia del fondatore del partito di estrema destra Front national.
Un vero match nel match, quello tra il partito socialista e l'esponente della sinistra populista e no global. L'unica vera sorpresa di una campagna elettorale che i francesi ritengono abbastanza deludente, tanto da ipotizzare un tasso di astensionismo storicamente elevato.
Nato a Tangeri 60 anni fa, Mélenchon ha cominciato il suo percorso politico da trozkista e dopo essere entrato nel Ps ne ha sempre rappresentato l'anima più radicale, più movimentista. Memorabili sono i suoi scontri proprio con Hollande, ex segretario del partito e uno dei principali interpreti della svolta moderata, socialdemocratica.
Mélenchon, che nel 2005 ha sostenuto il "no" al referendum che bocciò la Costituzione europea, lascia il Ps alla fine del 2008, dopo 32 anni di militanza, per fondare il Parti de gauche. Ma il suo modello è la tedesca Die Linke, un movimento in grado di unire tutte le forze a sinistra dei socialisti. Con l'adesione, peraltro all'inizio non molto convinta, di quel che resta del Partito comunista, ecco quindi prendere forma il Front de gauche.
Al comizio di lancio della campagna presidenziale - in giugno, a Parigi, in Piazza Stalingrado, Mélenchon è uno molto attento ai simboli - sono in 4mila. Il primo sondaggio registra un 6% di consensi. Nessuno, all'inizio, ha fatto i conti con le sue straordinarie capacità oratorie. Un tribuno, un trascinatore di folle. Colto, parla un francese di rara bellezza e ha rispolverato l'intero armamentario della sinistra antagonista. Lo slogan del partito è "Place au peuple", fate spazio al popolo. E lui non ha paura a parlare di "rivoluzione" e di "insurrezione". Racconta di un futuro diverso, di una società diversa. Propone un sogno. E scalda i cuori di un'opinione pubblica stufa, sfiduciata, spaventata, impoverita. Ai comizi ormai sono in tanti: 8mila nel cuore della Francia conservatrice, a Clermont Ferrand; 20mila a Lille, feudo socialista governato dal segretario Martine Aubry; 50mila alla Bastiglia. Tanto da spingere Mélenchon a chiedere alle banche un prestito di un milione (portando il budget della campagna da 2,5 a 3,5 milioni) per poter organizzare nuovi, più affollati, meeting. I sondaggi salgono fino all'ultimo 14 per cento. Il terzo uomo, ormai, è lui. Che lungo la strada rastrella i voti degli astensionisti e degli ecologisti delusi. Che è riuscito a fare il miracolo di resuscitare i comunisti, i quali cinque anni fa non erano arrivati al 2% e ora hanno tappezzato Parigi di manifesti con la scritta "Prenez le pouvoir", prendete il potere. E con cui dovrà quindi fare i conti Hollande, per ottenere l'appoggio necessario a vincere il ballottaggio.
Non sarà facile. Il programma del Front de gauche prevede la bocciatura del Trattato europeo di disciplina fiscale, il ripristino della pensione a 60 anni, l'aumento del salario minimo da 1.400 a 1.700 euro lordi mensili (e netti alla fine del quinquennato), l'uscita dalla Nato, il passaggio da una Quinta Repubblica di fatto presidenziale a una Sesta Repubblica parlamentare. Hollande ha cercato di fare il duro, dicendo che il programma socialista è «da prendere o da lasciare», assicurando che non ci saranno trattative. Mélenchon sorride, ben sapendo che non sarà così. E commenta ironicamente annunci come quello della supertassa al 75% sui ricchi: «La battaglia delle idee l'abbiamo già vinta».
Sarkozy soffia abilmente sul fuoco. Loda Mélenchon e spera che salga ancora. Tanto da spaventare l'elettorato centrista e moderato e spingerlo nelle sue braccia. Forse l'ultima speranza, per il presidente. E l'ultimo remake del film sulle divisioni della sinistra che fanno vincere la destra.
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