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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2012 alle ore 06:36.

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Una riforma a 360 gradi del lavoro in 72 giorni. È quella che il Governo ha messo nero su bianco dal 23 gennaio, quando ha avviato il confronto con le parti sociali, a ieri, quando il testo del disegno di legge Fornero è giunto al Quirinale dopo l'ultima trattativa notturna con i partiti della maggioranza. I cui effetti si vedono in più punti dei 70 articoli che compongono il Ddl. Tra le novità delle ultime ore spiccano il ritorno del reintegro del lavoratore nei licenziamenti economici «insussistenti», la fissazione a 24 del numero di mensilità indennizzabili in caso di allontanamenti disciplinari, la riduzione al 30% per i prossimi tre anni delle stabilizzazioni per l'assunzione di nuovi apprendisti, l'applicazione della stretta sulle partite Iva solo a partire dal prossimo anno, la limitazione del giro di vite sui co.co.pro ai nuovi contratti. Insieme alla scoperta che i temi su cui serviranno i "tempi supplementari" della delega all'Esecutivo saranno quattro: politiche attive, tirocini formativi, apprendimento permanente - già inserite nel testo – e pubblico impiego (per cui sarà approvato un Ddl ad hoc).

Nonostante le ultime riscritture l'Esecutivo continua a individuare nell'articolato inviato al Colle uno strumento utile a ridurre le rigidità del sistema Italia e aumentare la sua produttività senza peraltro intaccare le tutele dei lavoratori. Anzi l'obiettivo esplicito del Governo è quello di aumentarle. Ad esempio attraverso i "paletti" imposti alla flessibilità in entrata che – sebbene attenuati rispetto agli annunci contenuti nel documento di policy varato dal Consiglio dei ministri di due settimane fa – continuano a non convincere le imprese.
Nella duplice ottica di trasformare il contratto a tempo indeterminato nella regola e fare dell'apprendistato la porta principale di accesso all'impiego il testo inserisce una serie di vincoli a quasi tutte le tipologie di rapporti flessibili. A partire dal tempo indeterminato che vede il tetto dei 36 mesi trasformarsi in inderogabile e la contribuzione da versare per ogni lavoratore aumentare dell'1,4 per cento. A fronte di questo appesantimento l'ultimo restyling ha consegnato alle aziende uno "sconto" sugli adempimenti riguardanti il primo contratto sotto forma della scomparsa del cosiddetto «causalone» in cui vanno inserire le ragioni dell'assunzione.

Buone notizie per gli imprenditori anche sul fronte dell'apprendistato visto che la quota di apprendisti da stabilizzare per inserirne di nuovi scende dal 50 al 30% nei prossimi tre anni. Più graduale rispetto alle previsioni sarà la stretta sulle false partite Iva, che troverà applicazione solo un anno dopo l'entrata in vigore della legge Fornero, e sulle collaborazioni a progetto, che vedono il giro di vite limitarsi ai nuovi co.co.pro.
Ma la novità di maggior peso il disegno di legge la riserva nella parte in cui rimodula l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Dopo il confronto serrato degli ultimi giorni tra governo, partiti e parti sociali, il testo uscito da Palazzo Chigi sembra aver assunto una forma che mette d'accordo tutti. Due le novità principali: da una parte, l'ampliamento dei casi in cui è previsto il reintegro del lavoratore licenziato (punto sul quale forte è stato lo scontro) e, dall'altra, la diminuzione a 12 e 24 mensilità dell'indennizzo minimo e massimo previsto nei casi in cui invece il giudice nega il rientro sul posto di lavoro. È evidente come le due misure vadano in direzioni diametralmente opposte: la prima amplia la tutela a vantaggio dei lavoratori, la seconda è invece la contropartita pagata alle aziende.

Al centro del dibattito era finito il licenziamento per motivi economici che, nelle intenzioni originarie, a differenza di quello per motivi disciplinari, non contemplava l'ipotesi del reintegro. Oggi, invece, il testo presentato a Napolitano accomuna le due ipotesi (licenziamento disciplinare e licenziamento economico) quantomeno nella parte relativa alla tutela per licenziamento illegittimo. Nel caso in cui accerti la «manifesta insussistenza» del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (economico), il giudice, oltre al risarcimento pari a 12 stipendi, «può» infatti disporre anche il reintegro. Resta salva la facoltà del lavoratore di optare per l'indennizzo.
Negli altri casi di annullamento del licenziamento economico per il datore di lavoro resta solo la condanna al pagamento dell'indennità tra 12 e 24 mensilità. È qui l'altra novità della giornata: infatti, la precedente bozza di modifica dell'articolo 18, nella parte in cui prevedeva l'indennizzo per il licenziamento annullato, anche quale alternativa al reintegro, lo fissava nella misura variabile tra 15 e 27 mensilità. Invariata, in sostanza, la disciplina del licenziamento discriminatorio. Qui il reintegro resta praticamente d'obbligo, salvo il caso il lavoratore non opti per l'indennizzo.

Chiude il cerchio degli interventi il cambio di registro sugli ammortizzatori sociali, a regime nel 2017. L'Aspi, assicurazione sociale per l'impiego, è destinata a sostituire le varie indennità di disoccupazione. Ne potranno usufruire anche apprendisti e artisti. Nel frattempo scatterà la fase transitoria per il passaggio della durata dagli 8 mesi attuali (12 per gli over 50) ai 12 dell'Aspi (18 per gli over 55). Il tetto massimo dell'Aspi è fissato a 1.119 euro. Resta il sistema della cassa integrazione, con limitazioni all'uso della «straordinaria» mentre per le aziende non coperte dalla Cig straordinaria arriva un fondo di solidarietà.

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