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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2012 alle ore 08:44.

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«El leon magna el teròn» urlavano i lighisti veneti durante il loro primo congresso che si tenne il 9 dicembre del 1979 in un bar di Recoaro terme.
In quell'anno, Umberto Bossi da Cassano Magnago, studente fuori corso alla facoltà di Medicina a Pavia e militante del Pci di Samarate, sfangava le sue giornate raccogliendo fondi per sostenere il movimento dei dissidenti che osteggiava il dittatore cileno Augusto Pinochet.

Cause nobili che abbandona qualche mese più tardi quando rimane folgorato da un tazebao dell'Union Valdotaine appeso nella facoltà di Medicina. Lo studente capisce che l'autonomismo va sdoganato, rielaborato e propugnato. Bossi, a quel tempo, viaggia già per la quarantina: una sequela di insuccessi alle spalle, studi disordinati e soprattutto una marea di lavori (e passioni) saltuarie, compresa l'esibizione come cantate a Castrocaro Terme. Bruno Salvadori, l'ideologo valdostano teorico dell'autodeterminazione dei popoli che morirà l'anno dopo, lo inizia all'indipendentismo.

I corsi accelerati, dalla Scuola Radio Elettra di Torino in poi, sono una costante nella biografia del senatùr. Sempre in quel fatidico 1979 conosce Roberto Maroni, figlio di una salumiera della provincia di Varese, militante di una formazione marxista-leninista e studente di Giurisprudenza. Insieme, con la cinquecento scassata di Bobo, incollano nottetempo i manifesti del loro piccolo movimento, l'Unopla, l'Unione nord occidentale lombarda per l'autonomia. Nel 1983 debutto in Lombardia: 157 voti.

Bossi sa che è il prezzo da pagare all'inesperienza. Un anno dopo, il 1984, davanti un notaio di Varese, l'autonomista di Cassano Magnago e la sua nuova compagna, Manuela Marrone, depositano l'atto di fondazione della Lega Lombarda. Alle amministrative del 1985 vengono eletti i primi consiglieri comunali a Varese e Gallarate, nel 1987 la promozione a senatore della Repubblica, che gli varrà il titolo imperituro di senatùr. Il 4 dicembre dell'89, in un Europa liberata dall'angoscia della guerra fredda e dal muro di Berlino, nasce la Lega Nord. Bossi è nominato segretario al raduno di Pontida, il pratone della provincia di Bergamo che diventerà parte integrante dei beni patrimoniali del partito.

Tre anni dopo si frantumano i partiti della prima Repubblica. Bossi cavalca tangentopoli e si propone come l'uomo guida del Nord. Luca Leoni, deputato leghista, sventola a Montecitorio il cappio alla quale si impiccherà il Caf (Craxi, Andreotti e Forlani). Una posizione radicale che si ritorcerà contro lo stesso lìder maximo della Lega, condannato nel '94 per aver incassato una tangente di 200 milioni versata dall'Enimont. Bossi non se ne cura neanche, preso com'è dalle trattative con Silvio Berlusconi e il suo neonato partito politico, la Casa delle Libertà, di cui la Lega diventa parte integrante. Berlusconi, Bossi e il Msi di Fini vincono le elezioni politiche di quell'anno. La canottiera di un Bossi che villeggia a Porto Cervo entra nella casa di milioni di italiani. Sembra un idillio infinito, quello col Berlusca, malgrado gli costi la rottura con il professor Miglio, che lo lascia con un'anatema: «Per Bossi il federalismo è strumentale alla conquista e al mantenimento del potere».

Neppure sei mesi dopo tutto precipita: avviso di garanzia al G7 di Napoli per il premier. Bossi ritira il suo partito della maggioranza e marchia Berlusconi come mafioso. Dirà qualche anno dopo, l'Umberto, che il Cavaliere stava sfilandogli uno dopo l'altro i suoi deputati. Questione di denaro sonante, che tornerà parecchie volte a condizionare la storia del movimento. Nel '96 Bossi corre da solo: nella Pedemontania veneta e lombarda viaggia ormai sopra il 30 per cento. Una messe di voti che un paio di anni dopo sette consiglieri regionali veneti su otto cercheranno di sottrargli. Rimarrà col senatùr solo Giampaolo Gobbo, che da allora è il capo indiscusso della Liga veneta.

Nel '97 debutta il rituale leghista del Dio Po: dal Monviso a Riva degli Schiavoni, a Venezia. L'apparato simbolico e semantico è ridondante: dalle ampolle allo spadone di Alberto da Giussano, dalla secessione a Roma ladrona. Simboli ma anche denari: nel 2000 la voglia incontenibile di grandezza partorisce la banca Credieuronord, travolta quattro anni dopo dagli scandali. Nel 2001 nuova giravolta: sommerso dalle querele e dai debiti Bossi si ricongiunge a Berlusconi. L'11 marzo del 2004 lo choc: il capo della Lega è colpito da un ictus. Bossi non molla il partito ma per sopravvivere si circonda di un cerchio magico che otto anni più tardi diventerà tragico. Mogli, badanti, amici e deputati lucreranno in tutti i modi sull'oro di Bossi, epurando o inducendo a lasciare il partito decine di militanti della prima ora, spesso leali e appassionati. Una purga in piena regola.

La seconda alleanza con Berlusconi (2008-2011) eroderà il consenso conquistato negli anni. Il partito si romanizza e il federalismo è sempre di là da venire. La base rumoreggia. Maroni, ministro degli Interni con Berlusconi, capisce che è giunto il momento della successione. I barbari sognati sfidano il senatùr e il caravanserraglio del cerchio magico in un teatro di Varese. È la notte del 18 gennaio 2012. I magistrati, tre mesi più tardi, pianteranno i chiodi delle inchieste su una morte politica ormai consumata.

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