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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2012 alle ore 08:13.

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La riforma del mercato del lavoro presenta il conto alle imprese: il cuneo contributivo a partire dal 2013 aumenterà di un miliardo e crescerà fino a poco più di un 1,6 miliardi l'anno per il triennio successivo. A regime nel 2021 arriverà a toccare quota 1,88 miliardi. È quanto emerge dalla relazione tecnica al disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro trasmesso dal Governo giovedì scorso alle Camere.

Ai maggiori oneri contributivi, inoltre, le imprese dovranno sommare l'aumento del carico fiscale, in termini di Ires, Irpef e Irap, previsto con la rimodulazione delle soglie di deducibilità dei costi sostenuti sia per le auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti sia per quelle strumentali all'attività di impresa, arti o professioni (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri).

L'aumento dei contributi, al netto dell'effetto fiscale (quando cresce il costo contributivo corrispondentemente sale anche l'onere deducibile per l'impresa), contribuirà a finanziare la revisione degli ammortizzatori sociali. Revisione che, secondo le stime messe a punto dalla Ragioneria generale dello Stato, costerà in termini di prestazioni erogate oltre 2,2 miliardi nel 2013, che diventeranno 2,7 se si sommano i 569 milioni di spesa legata alla contribuzione figurativa.

Così i maggiori oneri contributivi dovranno assicurare alle casse dello Stato non meno di 854 milioni. Di questi, 611 milioni l'Esecutivo se li aspetta dall'applicazione delle nuove aliquote introdotte dalla riforma sotto la voce Aspi(Assicurazione sociale per l'impiego): 1,31% per tutti i lavoratori a tempo indeterminato cui si aggiunge l'addizionale dell'1,4% per i lavoratori che non sono a tempo indeterminato. I restanti 243 milioni arriveranno dal finanziamento chiesto ai datori di lavoro come contributo di ingresso e dal potenziamento dal 2017 del fondo per i licenziamenti collettivi (senza accordi sindacali).

Ma i nuovi costi per le imprese non finiscono qui. Un'altra quota di risorse per coprire la riforma arriva dall'aumento graduale negli anni di un punto percentuale dell'aliquota contributiva per i soggetti iscritti alla gestione separata. Ulteriori oneri contributivi che, per due terzi, sono a carico dell'impresa e per un terzo a carico del lavoratore. Il primo aumento del 2013, sempre al netto degli effetti fiscali, dovrà garantire 280 milioni.

Altra voce di costo aggiuntivo per le imprese è poi prevista dal finanziamento dei fondi di solidarietà, istituiti per estendere le forme di integrazione al reddito in caso di sospensione dal lavoro (tipo la Cigo) a settori finora non coperti. Per questi fondi, essi pure concepiti su base mutualistica, è previsto l'obbligo di bilancio in pareggio e il ministero del lavoro, d'intesa con l'Economia, potrà aumentare la contribuzione dovuta. La quantificazione, tuttavia, dipende dalle intese con le parti sociali che verranno successivamente definite, visto che la norma si limita a introdurre una prima cornice giuridica di riferimento.

Nel calcolo del «dare e avere», le imprese potranno invece contare sugli sgravi contributivi legati alle assunzioni di apprendisti, per i quali è stata apposta una stima di minori entrate contributive pari a 101 milioni nel 2013 e destinata a crescere fino a 881 milioni nel 2021. Se si guarda alle masse salariali sottostanti alle diverse forme contrattuali si comprende la logica della riforma, che punta a trasferire la maggior parte possibile di nuove assunzioni proprio sull'apprendistato. Lo sgravio, infatti, è riferito a un monte retributivo stimato per il 2013 di 8 miliardi, mentre invece l'addizionale dell'1,4% per i contratti a termine è riferita a un monte retributivo di 30 miliardi.

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