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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 06:39.

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La Banca centrale ha confermato ieri le rilevazioni congiunturali dell'Insée, l'istituto nazionale di statistica: la Francia ha evitato la recessione, così come la Germania. Il primo trimestre del 2012 si è chiuso con una crescita zero, un dato appena più alto (dello 0,1%) di quello stimato in dicembre, ma sufficiente appunto per accantonare il rischio di un andamento negativo dell'economia. Della stessa entità è la revisione al rialzo del secondo trimestre, per il quale l'Insée prevede una crescita dello 0,2 per cento.

Su base annua, l'aumento del Pil già acquisito nel primo semestre - quello cioè che verrebbe registrato nell'intero 2012 in caso di crescita nulla nella seconda parte dell'anno - è dello 0,5 per cento. Il che rende credibile la correzione al rialzo della crescita annunciata dal Governo: dallo 0,5% allo 0,7 per cento. Sia pure sensibilmente superiore alle previsioni del Fondo monetario (0,2%), dell'Ocse (0,3%) e della Commissione europea (0,4 per cento).

Va un pochino meglio, insomma. Anche se si tratta di un ritmo ancora insufficiente a creare nuova occupazione "vera". L'Insée immagina infatti la perdita di ulteriori 49mila posti di lavoro nei settori "di mercato", esclusi cioè quelli protetti e la pubblica amministrazione. Certo una cifra più bassa di quella del secondo semestre 2011, quando i posti persi sono stati 54mila, ma che continuerà a pesare sul tasso di disoccupazione, che nella Francia "continentale" (dipartimenti d'oltremare a parte) a fine giugno dovrebbe quindi salire al 9,7% rispetto al 9,4% di fine 2011.

Proprio l'Ocse ha d'altronde osservato ieri che pur in un generale contesto di lenta uscita dalla crisi, i Paesi avanzati si dividono abbastanza nettamente in tre gruppi diversi: quelli per i quali si registra il «ritorno di una dinamica di ripresa» (Stati Uniti, Giappone e Cina); quelli in cui «è possibile che ci sia una svolta positiva» (Germania e Gran Bretagna, oltre a Brasile e India); e quelli in cui «l'attività economica è ancora poco sostenuta» (Francia, appunto, e Italia).

In questo scenario si sono inseriti ieri due dati, uno positivo e uno negativo. Il primo riguarda il deficit della Sécurité sociale, il sistema assistenziale e previdenziale, pari a 17,4 miliardi e leggermente inferiore alla previsione d'inizio anno (18 miliardi). A contribuire è stata soprattutto la voce relativa all'assistenza, 8,6 miliardi, con una flessione di tre miliardi rispetto al 2010 e di 900 milioni rispetto ai costi preventivati.

Il secondo concerne invece la produzione industriale di febbraio. Se infatti il dato complessivo è in aumento (dello 0,3%) sul mese precedente, quello della sola industria manifatturiera - depurato cioè della produzione energetica - è in calo dell'1,2 per cento. I consumi energetici, e di conseguenza la produzione (+ 10,2%) sono stati fortemente influenzati dall'ondata di freddo di metà mese. Nei tre mesi (dicembre, gennaio e febbraio) la produzione delle aziende manifatturiere è in diminuzione dell'1,1% sui tre mesi precedenti e dell'1,6% sugli stessi tre mesi dell'anno precedente.

Sul fronte congiunturale, un dato incoraggiante è arrivato da Oltre Reno e riguarda la bilancia commerciale tedesca di febbraio. Il saldo, a parità di giornate lavorative, è di 13,6 miliardi. In calo rispetto a gennaio (15,1 miliardi), ma grazie al forte aumento delle importazioni (del 3,9%, rispetto all'1,6% delle esportazioni). Un buon segnale, che conferma la ripresa economica in atto in Germania. E che arriva dopo l'Ifo di marzo, salito a 109,8 punti rispetto ai 109,7 di febbraio e soprattutto rispetto ai 109,5 del consensus degli esperti.

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