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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2012 alle ore 06:42.

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«Amo l'Orissa. Ma c'è una bella differenza tra essere un turista o un ostaggio». Paolo Bosusco, tour operator 54enne, era stato rapito il 14 marzo scorso insieme a Claudio Colangelo, durante un trekking nelle foreste dello stato orientale dell'India dove i guerriglieri maoisti che lottano da decenni per i diritti delle etnie locali e dei contadini senza terra avevano preso di mira per la prima volta degli stranieri. Lo hanno liberato ieri, consegnandolo a un mediatore una ventina di giorni dopo il rilascio di Colangelo, e ora è lo stesso Bosusco ad assumere le loro difese: «Queste persone - ha detto all'agenzia Ansa - sono considerate delle bestie, criminali sanguinari. Ma hanno sofferto ingiustizie incredibili. Non condivido le loro scelte perché le impongono con le armi, ma se riuscissero ad avere più giustizia avrebbero molto da dare alla società».
Nella capitale dell'Orissa, Bhubaneswar, Paolo Bosusco è apparso stanco e dimagrito: «Non preoccupatevi - ha mandato a dire ai suoi - sapete che sono forte». «È la risoluzione positiva di una vicenda caratterizzata da grande pericolo - ha commentato da Washington il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi - perché sarebbe potuta degenerare con un niente». L'azione diplomatica italiana, ha aggiunto Terzi, è stata fondamentale «per evitare che partissero interventi militari o tentativi di utilizzo della forza che hanno caratterizzato altri contesti».
«I maoisti hanno cercato di darmi il cibo che potevano - ha raccontato Bosusco scherzando sulla sua «vacanza pagata di 28 giorni» - ma sfortunatamente in quelle condizioni nella giungla non ho potuto mangiare molto. Ho anche avuto la malaria». Il distretto dove Bosusco e Colangelo erano stati rapiti è Kandhamal, una delle ampie zone dell'India orientale sotto il controllo della guerriglia. Aree tra le più povere del Paese, una ribellione alimentata da corruzione, confische di terre, violenze delle forze dell'ordine. In queste foreste i maoisti, che si finanziano con estorsione e racket, rapiscono di frequente abitanti dei villaggi e funzionari locali: non tutti vengono rilasciati vivi. Tra le persone ancora in mano loro un deputato dell'assemblea regionale dell'Orissa, Jhina Hikaka, preso in ostaggio il 24 marzo scorso.
Le richieste avanzate nei negoziati per la liberazione di Bosusco, dietro la minaccia di «passi estremi», erano la messa al bando del turismo nelle zone tribali, la fine delle operazioni governative contro la guerriglia, il rilascio dei prigionieri. All'inizio della settimana però i maoisti avevano respinto la lista di 27 prigionieri che il chief minister dell'Orissa - la principale autorità nello stato - si era detto disposto a liberare, facendo il nome di altre sette persone. Tra queste la moglie di Sabyasachi Panda, il leader del gruppo che aveva rapito Bosusco, assolta e rilasciata il 10 aprile scorso.
Da questa esperienza umana lunga e difficile, ha detto ieri Bosusco, «ho preso quello che mi ha potuto insegnare». Ma ora tutto quello che l'operatore turistico aveva costruito in 20 anni in Orissa è crollato: «Mai più avrei il coraggio di portare un turista in quelle zone con il rischio che gli possa accadere quello che ha sofferto Claudio Colangelo». «La Farnesina - aveva detto in mattinata a Radio 24 il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura - indicava che in quella zona non ci si va, questo veniva raccomandato».
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