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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2012 alle ore 06:42.

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MILANO
Espulsi. Francesco Belsito e Rosi Mauro sono stati cacciati dalla Lega Nord con un verdetto all'unanimità del consiglio federale. La Mauro, che non è inquisita dai magistrati, si è presentata davanti al massimo organo politico e disciplinare della Lega scortata dalla sua guardia del corpo, Pierangelo Moscagiuro.
A differenza di tutti i leader leghista che di norma guadagnano il quartier generale della Lega Nord attraversando il cancello di via Bellerio direttamente in automobile, Rosi Mauro ha voluto varcare l'ingresso pedonale senza abbassare lo sguardo di fronte ai giornalisti che da settimane presidiano la sede leghista. Una scelta con la quale la senatrice leghista ha voluto ribadire il ruolo di vittima sacrificale. In realtà non sono poche le ambiguità di cui è costellata la vicenda. La Mauro sarebbe stata espulsa per non aver obbedito all'ordine di Umberto Bossi di dimettersi da vicepresidente del Senato. Lo stesso Bossi ha cercato invano di convincerla fino all'ultimo momento, facendo pressioni affinché accettasse il male minore: l'abbandono del ruolo istituzionale che ricopre a Palazzo Madama. Secondo alcune ricostruzioni, peraltro non confermate, il senatùr insieme con Marco Reguzzoni, sarebbe uscito dalla stanza in cui si teneva la riunione al momento del voto. Il fatto certo è che l'estremo tentativo di mediazione è naufragato: la Mauro ha ribadito di non voler compiere alcun passo indietro. Il flebile tentativo di indurla a più miti consigli è stato spazzato via dall'aut aut di Roberto Maroni, che alla luce del tentennamento del segretario federale ha messo sul tavolo le sue dimissioni: «o Rosy Mauro o io», ha detto lasciando di sasso i componenti del federale. A quel punto non c'è stato più nulla da fare. La pasionaria leghista non l'ha mandata giù, e alla fine del consiglio federale ha avuto un colloquio a quattr'occhi con Umberto Bossi. Poi solo una dichiarazione: «Se qualcuno ha minacciato le dimmissioni se non si fossero presi provvedimenti contro di me, significa che l'unanimità è stata imposta con un ricatto politico».
Saltata la Mauro, la strategia di Bobo Maroni è passata su tutta la linea. Compresa l'ufficializzazione del congresso federale, anticipato al 30 giugno contro i voleri di Bossi e Calderoli che tentavano di procrastinarne la convocazione in autunno. A espulsione avvenuta sono fioccate le reazioni degli stessi leghisti. La considerazione di Flavio Tosi si può sintetizzare così: «Il movimento dà, il movimento toglie». La storia della Lega Nord è costellata di purghe, epurazioni, espulsioni capricciose disposte a insindacabile giudizio di Umberto Bossi. Un sistema con il quale si è impoverito il movimento e si sono eliminati i potenziali concorrenti politici. Non a caso tra le richieste che salgono a gran voce dalla base c'è quella, condivisa da tutti, di una maggiore democrazia interna. Rosi Mauro è stata cacciata perché le sono stati imputati due peccati capitali: è una nemica di Bobo Maroni e poi è nata a San Pietro Vernotico, provincia di Brindisi. Nessuno che abbia mosso dei rilievi sulla gestione fallimentare del Sinpa, il sindacato padano, che la Mauro guida con indubbi insuccessi dal '99. Ieri peraltro si è appreso che dei tre dipendenti del sindacato una è la nipote della Mauro.
A sfangarla è stato Renzo Bossi, la cui posizione non è stata neppure vagliata. Ora nel mirino dei magistrati ci sarebbe anche Roberto Calderoli, uno dei triumviri. Sarebbe un'altra bella grana per un partito flagellato dalle inchieste di tre Procure della Repubblica. Qualcuno dei fedelissimi di Maroni sostiene che prima o poi nell'ingranaggio della giustizia finirà anche Rosi Mauro. Fino a quando non accadrà, la «nera», la «terrona», o la «zarina» – questi alcuni dei suoi soprannomi – si terrà stretto stretto il ruolo di vicepresidente vicario del Senato («Valuterò tutto, si fa un passo alla volta». Una rivincita, a suo modo, contro tutto e contro tutti.
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