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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2012 alle ore 08:14.
CORTONA. Dal nostro inviato
Sì al congelamento della prossima tranche di rimborsi elettorali, quella di luglio, a patto che si apra una vera discussione sul sistema. Nei giorni in cui lo scandalo Lega ha acceso i riflettori sul problema del finanziamento dei partiti, e dopo l'annunciata rinuncia alle restanti tranche di rimborsi, mess'a nero su bianco due giorni fa proprio dal Carroccio, Pier Luigi Bersani raccoglie la sfida e apre all'ipotesi del congelamento. Di più, apre all'ipotesi di un ulteriore taglio dopo quelli già effettuati dal 2009 ad oggi. Ma guai a eliminare il principio del finanziamento pubblico. Finirebbe la democrazia.
«Servono subito, subitissimo dei controlli ai partiti», ha detto il segretario del Pd intervenendo a Cortona al seminario di Areadem, la "corrente" del capogruppo alla Camera Dario Franceschini. «Vogliamo discutere delle forme e della quantità? Se ci sono condizioni politiche possiamo spostare un po' di tempo l'erogazione di questa tranche e discutere – ha detto Bersani - ma ben sapendo che non si sta raccontando ai cittadini la verità. È già in corso il dimezzamento dei contributi, e alla fine di questo percorso il rimborso pro capite sarà più basso che in Francia, Spagna e Germania». Possibile dunque anche diminuire ancora il finanziamento pubblico - come invocano all'interno dello stesso Pd rappresentanti di spicco come Piero Fassino e Pierluigi Castagnetti, che propone una integrazione con il meccanismo del 5 per mille - ma se si intende invece spazzare via il concetto, Bersani non ci sta. «Se si intende che la politica si debba finanziare con le buone uscite dei grandi manager, con gli ereditieri e i palazzinari io dico no, no, e no».
E qui si inserisce la preoccupazione per il vento crescente dell'antipolitica, preoccupazione che attraversa un po' tutti gli interventi di questo incontro cortonese. «C'è malumore e sofferenza nel Paese» che derivano da una doppia crisi, ammette Bersani: «La più grave crisi economica dal 29 e la più grave crisi di credibilità della politica dal 92». Il segretario avverte: «Attenzione che non c'è tanto il rischio tecnocrazia, che solo pallidamente allude all'antipolitica, sotto la pelle del Paese c'è il rischio di populismi in cerca d'autore». Siamo a un bivio, ricorda, ed è questione di mesi. «O si rilancia in forme ancora da vedere l'eccezionalismo italiano, con la sua vena populistica, o si prende una strada di democrazia riformata, saldamente costituzionale e capace di ricostruire un patto sociale che riconosca la reciprocità dei soggetti, e cioè riconosca il fatto che nessuno può salvarsi da solo e che la disuguaglianza non genera crescita».
Parole, queste sull'inclusione, molto applaudite da un partito che financo nelle parole dell'ex Margherita Franceschini teme di perdere la sua connotazione di sinistra - lasciando vaste praterie libere per le scorrerie di Idv e Sel, o peggio dei nuovi populismi - senza aver trovato nel frattempo una direzione che non sia il pur necessario appoggio al Governo Monti. Il segretario del Pd indica nelle prossime amministrative, che coinvolgeranno quasi 10 milioni di italiani e si terranno contestualmente alle presidenziali francesi, un passaggio cruciale. «Se questi passaggi elettorali dessero luogo a una spinta verso altro – scandisce Bersani riferendosi alla possibile vittoria del socialista Francois Hollande in Francia e a un buon risultato per il Pd alle amministrative italiane – sarà ora di chiedere al Governo italiano di collegarsi a tutti quelli che si muovono in Europa per correggere le politiche economiche comunitarie prima delle elezioni politiche tedesche, che sono troppo in là». Il rischio di avvitamento austerità-recessione è alto, avverte Bersani: «Assieme al fiscal compact ci vogliono altre politiche, e se anche il Financial Time ha fatto l'endorsement per Hollande vorrà dire qualcosa».
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