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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2012 alle ore 16:29.

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Come ogni primavera scatta l'offensiva anche mediatica dei talebani. Inizio spettacolare per l'ormai consueta offensiva di primavera che i talebani scatenano ogni anno con l'obiettivo, più mediatico che militare, di dimostrare che mantengono la capacità di colpire in profondità fin nel cuore delle istituzioni e dei palazzi governativi e internazionali di Kabul. Attacchi coordinati con gruppi di fuoco, kamikaze e lanci di razzi e colpi di mortaio hanno interessato ambasciate, il comando della brigata Nato della capitale a guida turca di Camp Warehouse, il Parlamento e alcune ambasciate tra le quali quella britannica.

Un assalto senza speranze ma che ha ottenuto il successo mediatico cui aspiravano i talebani eseguito secondo una tattica consolidatasi già dal 2009 e messa a punto dalla "rete Haqqani" la centrale talebana basata nel Waziristan pakistano che secondo l'intelligence statunitense più legata all'intelligence militare di Islamabad (ISI). Tra gli obiettivi degli attacchi di oggi del network Haqqani anche il secondo vicepresidente afghano, Karim Khalili, sventato dai servizi di intelligence afghani (Nds). Una decina gli attacchi dei miliziani in tutto il Paese che segnano «l'inizio dell'offensiva di primavera» come ha dichiarato via telefono all'Afp un portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahed annunciando che «decine dei nostri coraggiosi mujahiddin armati in modo pesante e molti combattenti suicidi tanno partecipando alle operazioni di oggi a Kabul e nelle province di Logar, Paktia e Nangahar». Aree che appartengono tradizionalmente al settore di competenza del network Haqqani mentre l'altra rete talebana, la "shura di Qetta" guidata dal mullah Omar opera nelle regioni meridionali e occidentali afghane.

Al di là dell'impatto mediatico internazionale gli attacchi di oggi non possono essere considerati una vera offensiva, non almeno in termini militari. Si tratta infatti di azioni che non puntano ad assumere il controllo di porzioni di territorio o centri abitati né a strappare alle truppe governative e alleate postazioni di valore tattico. Di fatto i talebani compiono azioni di tipo terroristico e soprattutto suicida nelle quali i miliziani sono votati alla morte o perché sui fanno esplodere o perché, completamente circondati, vengono uccisi dalle forze di Kabul o della Nato. Non è un caso che il bilancio degli assalti multipli talebani, pur provvisorio, indichi appena 11 vittime tra le quali 5 kamikaze. Se anche le vittime tra i civili e i militari dovessero risultare maggiori si tratterebbe comunque di un bilancio non certo esaltante per i miliziani afghani compensato però dall'ampia risonanza mediatica.

Da quando nel 2010 Stati Uniti e Nato hanno annunciato il prossimo ritiro delle forze alleate, che dovrebbe completarsi nel 2014 o forse addirittura l'anno prossimo (i dettagli verranno definiti a maggio nel vertice Nato di Chicago), i talebani hanno quasi del tutto interrotto le operazioni militari per limitarsi a disturbare il nemico con spettacolari attentati, attacchi suicidi e un vasto impiego di ordigni stradali che però provocano più spesso vittime tra i civili che tra i militari che utilizzano veicoli protetti.
Una tattica interpretabile con l'incapacità di contrastare in campo aperto le superiori forze alleate ma anche con la precisa volontà di risparmiare forze e combattenti che si riveleranno impiegabili in modo più proficuo quando il ritiro dei 130 mila militari alleati (90mila statunitensi) sarà completato o comunque già in stato avanzato e sul campo di battaglia si troveranno solo le forze governative afghane che per armamento, addestramento e disciplina non incutono certo timore ai talebani.

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