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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2012 alle ore 16:27.

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BUENOS AIRES - Il petrolio dell'Argentina, ora in mano del governo, apre un nuovo capitolo di politica nazionale e internazionale. Nell'annuncio di Cristina Fernandez de Kirchner emerge tutta la mistica peronista, amplificata da una gigantografia di Evita, proprio alle spalle della presidenta. Dunque la società petrolifera Ypf viene sottratta alla spagnola Repsol e torna agli argentini. Due considerazioni: a soli sei mesi dalla rielezione di Cristina non vi era una leva più efficace, dal punto di vista politico, dell'idea di «riassegnare il petrolio argentino agli argentini». Che raggiunge un'acme demagogico ricordando che lo si sottrae agli spagnoli di Repsol (di certo responsabili di una gestione discutibile e poco profittevole, in un'ottica argentina).

Interessante, da un punto di vista politico e sociale, l'appoggio generalizzato dei partiti argentini. Pur con qualche distinguo il riappropriarsi delle risorse energetiche é stato salutato con molti assensi. Il grande dubbio è se il governo potrà e vorrà sborsare 20 o 25 miliardi di dollari in investimenti per rilanciare un'industria energetica che continua a inanellare deficit sempre più profondi (nel solo 2012, il buco sarà vicino ai 12miliardi di dollari).

La seconda considerazione è di politica internazionale e sancisce ancora una volta lo scollamento tra i Paesi latinoamericani e quelli europei. La profonda crisi che vive il Vecchio continente e la fase espansiva che invece si registra in Argentina, Brasile, Cile, spinge i latinoamericani a immaginare percorsi di crescita e sviluppo autonomi e diversi da quelli finora conosciuti. Nel caso argentino, il default del 2002, provocato anche dalle ricette sbagliate del Fondo monetario internazionale - che peraltro ha più volte ammesso le sue colpe - ha alimentato un astio diffuso verso modelli economici in cui il Paese non si riconosce. E le reazioni, si sa, sono spesso sovradimensionate. È il caso dell' esproprio.

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