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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2012 alle ore 06:42.

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BUENOS AIRES. Dal nostro corrispondente
Indiscrezioni, smentite e finti retromarcia. I tatticismi sono durati un paio di settimane, ieri la stoccata finale. Cristina Fernandez de Kirchner, presidente dell'Argentina, ha annunciato in tv, a reti unificate, l'espropriazione del colosso energetico Ypf, controllato dalla spagnola Repsol.
Con il tono sussiegoso di sempre, di nero vestita, un filo di perle, la presidenta ha spiegato agli argentini che il Paese tornerà a disporre delle proprie risorse energetiche: «Il nostro era l'unico Paese latinoamericano a non controllare il proprio petrolio, uno dei pochi Paesi al mondo». Non sarà più così.
Un disegno di legge è stato inoltrato in Parlamento e prevede l'assegnazione del 51% di Ypf allo Stato argentino, mentre il restante 49% verrà distribuito tra le province che ospitano le produzioni petrolifere. Il provvedimento, articolato in 19 punti sarà discusso in Parlamento dove però il Frente para la victoria (Fpv), partito di Cristina Fernandez, gode di una schiacciante maggioranza. Tuttavia, fin da subito, Ypf verrà commissariata: i due commissari straordinari sono Julio De Vido, attuale ministro per la Pianificazione e Axel Kicillof, viceministro dell'Economia, un quarantenne molto ascoltato da Cristina. L'indennizzo a Repsol verrà stabilito da un tribunale argentino.
Mentre nella Borsa di Buenos Aires sono state sospese le azioni di Ypf, in quella di Wall Street sono crollate del 18 per cento.
Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha riunito d'urgenza stasera i suoi ministri degli Esteri e dell'Industria per definire una risposta.
L'autonomia energetica e la sovranità sulle isole Malvinas sono due temi trasversali condivisi dalla stragrande maggioranza degli argentini. Per questo, secondo gli osservatori, il Governo ha potuto procedere in modo così perentorio. La scorsa settimana la tensione tra Argentina e Spagna era salita alle stelle, tanto che venerdì, da Madrid, era arrivato un monito: «Ci difenderemo da una aggressione che violerebbe il principio di sicurezza giuridica. In ogni caso cercheremo di risolvere la questione attraverso il dialogo».
Poi sono arrivate parole ancora più dure: se non verranno rispettati i trattati internazionali «l'Argentina tornerà a essere un appestato internazionale». Il riferimento, implicito è al 2001, quando il Governo argentino di Fernando de La Rua annuncio il default, la cessazione dei pagamenti.
La Ypf, compagnia petrolifera argentina, venne privatizzata dal Governo di Carlos Menem nel 1992 e nel 1999 Repsol acquisì il 25% del pacchetto azionario, salito poi al 57 per cento.
L'iniziativa della presidenta è dovuta al fatto che, secondo il Governo, Repsol non ha effettuato i necessari investimenti nel Paese: nel 2011 l'Argentina ha importato petrolio e gas per 10 miliardi di dollari. Una voragine che potrebbe dilatarsi ancora e raggiungere i 12 miliardi quest'anno, con i relativi problemi per la bilancia dei pagamenti.
Accusata di non voler più investire nel Paese, Repsol si è vista ritirare 16 concessioni petrolifere in diverse province.
Da molte settimane il presidente di Repsol stazionava a Buenos Aires cercando di trovare una soluzione al problema. Ma non è stato ricevuto dai vertici della Casa Rosada e alla fine il Governo spagnolo si è spinto a dichiarare «l'eventuale nazionalizzazione argentina come un atto di ostilità contro la Spagna».
Neppure l'appello di venerdì della Commissione europea, preoccupata per il caso Ypf, è stato ascoltato: «Speriamo che l'Argentina rispetti gli impegni sulla protezione degli investimenti esteri», ha indicato il portavoce della Commissione che però ha precisato che attualmente la tutela degli investimenti Ue in Argentina non rientra negli accordi in vigore Ue-Mercosur.
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