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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2012 alle ore 06:42.

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La Corte dei conti di Milano, nell'inchiesta che sta scuotendo la Lega Nord, è l'ultima a indagare: questa volta l'ipotesi è di danno erariale. Anche le Procure contabili di Bologna e Napoli sarebbero pronte a lavorare sull'ipotesi della truffa ai danni dello Stato.

Le notizie sono di ieri così come sempre ieri la Guardia di finanza, per conto della Procura di Milano, ha acquisito nella sede milanese della Lega Nord in via Bellerio nuovi documenti su bilanci e contabilità del Carroccio mentre era in corso un vertice dei dirigenti, tra cui Umberto Bossi e Roberto Maroni. La Procura di Milano vuole vederci chiaro sui 400mila euro che sarebbero stati investiti in diamanti (dall'ex tesoriere Francesco Belsito, Piergiorgio Stiffoni e Rosy Mauro) e i 200mila euro in lingotti d'oro, con fondi riconducibili alla Lega presso le banche Aletti e Popolare di Novara. Mauro e Stiffoni – che smentiscono categoricamente ogni coinvolgimento e si dicono pronti ad adire le vie legali - avrebbero investito 100mila euro a testa; il resto Belsito. Ma né i lingotti né i diamanti sono stati finora trovati dagli investigatori. La Procura di Milano nei giorni scorsi aveva notificato al nuovo tesoriere, Stefano Stefani, un ordine di esibizione per avere accesso ai documenti.

Sempre ieri la Procura di Reggio Calabria ha fatto il punto con la Direzione investigativa antimafia (Dia) sulle prime carte che sono state sequestrate ad alcuni tra gli indagati. Il pm Giuseppe Lombardo continua a puntare sull'ipotesi investigativa che ha ancora una volta ribadito ai colleghi napoletani e milanesi: nella gestione finanziaria di Francesco Belsito potrebbero essere entrate risorse che non erano rimborsi pubblici per spese elettorali.
L'ipotesi è confermata da una lettura più puntuale dell'informativa della Dia. Nel corso dell'analisi tra investigatori e inquirenti è apparsa ieri ancor più stridente la gestione tra gli 1,2 milioni e i successivi 4,5 milioni che hanno preso la strada di Cipro, sede forse solo transitoria per gli investimenti.

Nel primo caso, infatti, come ricostruisce la Dia, Belsito passa attraverso l'imprenditore Stefano Bonet. Quest'ultimo riferisce al promotore finanziario Paolo Scala (che opera a Cipro), che solo in un secondo momento Belsito avrebbe dato istruzioni sul l'utilizzo della somma.
Nel caso dell'investimento successivo – che agli stessi attori coinvolti all'estero appare eccessivo al punto da richiedere garanzie ulteriori a partire dalle evidenze che Belsito operasse per conto della Lega Nord – invece Belsito si rivolgerebbe, secondo inquirenti e investigatori d'accordo sul punto, direttamente a Scala, al quale dirà di aver concordato la cosa con Bonet. «In realtà quest'ultimo, relativamente al nuovo investimento – si legge a pagina 238 dell'informativa – si trova di fronte al fatto compiuto. È sempre Scala il regista dell'operazione che predispone i processi di filtrazione, procede a segregare gli importi e a pilotare gli investimenti».

Un'altra differenza appare chiara agli occhi della Procura reggina: il primo investimento, a differenza del secondo, è destinato a restare immobile per anni e dunque, verosimilmente, davvero riconducibile a fondi della Lega da rimborsi elettorali mentre per il secondo investimento, Belsito si preoccuperebbe solo del fatto di poter riavere indietro le risorse in qualsiasi momento. Se così fosse – si domanda Lombardo – di chi sono i soldi che Belsito spedisce a Cipro?
La chiave di lettura per il pm, ancora una volta, la offre una telefonata tra Bonet e il suo avvocato di Rovigo Franco Giomo, del 17 febbraio. L'imprenditore riferisce al legale «che i 4,5 milioni erano già stati restituiti mentre i restanti 1,2 milioni (che Bonet avrebbe voluto trattenere a garanzia, ndr) sono tuttora vincolati da un contratto che non può essere smobilitato prima di cinque anni a meno che non si accettino delle perdite». A questo punto, sempre secondo la ricostruzione reggina, Giomo risponde «che il contratto era stato sottoscritto da una persona (Belsito, ndr) che non aveva alcun titolo a farlo».

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