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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2012 alle ore 06:42.

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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Lo yuan saluta con una marcia indietro l'ennesima riforma varata dal Governo per dare più flessibilità alla moneta e preparare il terreno per la sua futura internazionalizzazione. Ieri, alla ripresa delle contrattazioni dopo l'ampliamento dallo 0,5 all'1% della banda di oscillazione del renminbi annunciato sabato dalla People's Bank of China, la valuta ha archiviato la sua prima giornata in regime di maggiore libertà a 6,315 sul dollaro, in calo rispetto all'ultima quotazione di 6,303 segnata venerdì.
Chi pensava che la nuova tappa segnata sulla via della liberalizzazione mettesse subito le ali allo yuan è rimasto deluso. Che la giornata fosse orientata al ribasso lo si è capito subito in apertura, quando la Pboc ha fissato la parità centrale (il punto di riferimento della banda di oscillazione, cioè il valore rispetto al quale lo yuan può oscillare quotidianamente dell'1% in entrambe le direzioni) dieci punti base sotto il riferimento di venerdì scorso.
«Così facendo, la banca centrale ha lanciato subito un segnale forte al mercato e lo yuan è sceso subito a 6,32 per poi recuperare un po' di terreno nella seconda parte della giornata» spiega un operatore. E anche sul mercato offshore di Hong Kong, dove la valuta cinese viene contrattata parallelamente rispetto a Shanghai ma per importi limitati, lo yuan è stato tutto il giorno sotto pressione.
La lunga marcia rialzista, iniziata nel luglio 2005 quando Pechino sganciò la moneta dal dollaro (da allora si è apprezzata del 23%), è dunque finita? Probabilmente no, rispondono gli esperti, anche se i margini sembrano ormai molti limitati. «Vista la recente decelerazione dell'economia cinese e la debolezza della congiuntura globale, dopo l'ampliamento della banda d'oscillazione ci aspettiamo un lieve deprezzamento. Tuttavia, nella seconda parte dell'anno la moneta dovrebbe tornare ad apprezzarsi in un clima di accentuata volatilità per raggiungere quota 6,22 sul dollaro entro l'anno», prevede Société Générale.
«Nei prossimi mesi lo yuan sarà protagonista di un saliscendi senza precedenti, ma alla fine del 2012 riuscirà comunque a guadagnare il 2,5-3% sul dollaro», osserva Dong Tao, economista di Credit Suisse. Anche Rabobank conferma le proprie stime aggressive sulla moneta cinese: 6,1 contro dollaro a fine 2012.
Sempre ammesso che il ciclo mondiale non peggiori. Nel primo trimestre 2012 il ritmo di crescita dell'economia cinese è sceso al livello più basso degli ultimi tre anni: 8,1% su base annua e 6% rispetto all'ultimo trimestre 2011. La frenata è stata causata da una doppia debolezza: quella del mercato immobiliare e quella dell'export. L'evoluzione del tasso di cambio dello yuan nei prossimi mesi dovrà fare conto con questo scenario, che non è incoraggiante per un Paese che a ottobre dovrà affrontare una delicata transizione di potere. Se le esportazioni, che nel primo trimestre non hanno brillato (il surplus commerciale tra gennaio e marzo è stato di poco superiore allo zero), dovessero continuare a stentare, non è da escludere che Pechino si decida a tirare il freno sullo dello yuan.
D'altronde, la moneta non è ancora convertibile e la banca centrale resta il vero, unico arbitro delle due quotazioni. In questa prospettiva, anche l'ampliamento della banda di oscillazione sembra più una manovra simbolica che altro. Prova ne sia che nelle 440 sedute di mercato svoltesi dal giugno 2010 - quando la Cina sganciò per la seconda volta il renminbi dal dollaro - a oggi, in sole 13 occasioni lo yuan ha registrato degli scostamenti superiori allo 0,25% (cioè metà della vecchia banda di oscillazione) rispetto alla parità centrale.
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