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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2012 alle ore 06:42.

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MILANO
Nello stesso giorno in cui, in Regione Lombardia, viene ufficializzato il mini-rimpasto di giunta (il secondo in un mese), con l'ingresso di due donne nel ruolo di assessore, ecco che arriva un'altra dimissione. Si tratta del leghista Davide Boni, che ieri ha lasciato la carica di presidente del consiglio regionale. Ieri sono dunque entrate in giunta Luciana Ruffinelli, con delega allo Sport e alle politiche giovanili, al posto della leghista Monica Rizzi, e Margherita Peroni, Pdl, assessore al Commercio e al Turismo, al posto di Stefano Maullu.
Un mese fa Boni ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura di Milano per presunte mazzette in cambio di concessioni edili a Cassano D'Adda, relative al periodo in cui ricopriva il ruolo di assessore regionale all'Edilizia. Quello di Boni è stato il primo scandalo del mondo Lega: poi sono seguite le inchieste sul tesoriere Francesco Belsito per l'uso illecito dei rimborsi elettorali; il coinvolgimento di Renzo Bossi nella vicenda, che ha dato le dimissioni da consigliere regionale della Lombardia; le dimissioni di Umberto Bossi dalla carica di segretario federale del Carroccio; l'espulsione di Rosi Mauro dal partito, avvenuta qualche giorno fa, accusata dai colleghi di aver preso parte alla mala gestione del denaro pubblico; infine le dimissioni, due giorni fa, di Monica Rizzi dall'assessorato della Lombardia allo Sport e alle politiche giovanili, su richiesta dello stesso partito, essendo stata anche lei vicina a quel "cerchio magico" che ruotava intorno all'ex senatùr.
Boni ieri ha deciso di seguire l'esempio del suo ex leader di partito, e si è dimesso, dopo aver avuto tuttavia la solidarietà da parte di tutto il partito all'indomani dell'inchiesta a suo carico. «Se ha fatto un passo indietro lui, diviene un imperativo morale per me seguirlo», ha detto Boni, che da ieri è tornato a fare il semplice consigliere. Al suo posto potrebbero andare Stefano Galli, attualmente capogruppo della Lega nel consiglio regionale lombardo; Ugo Parolo, consigliere leghista e già deputato; Federico Cecchetti, consigliere della Lega di provenienza monzese; Massimo Romeo, anche lui consigliere del Carroccio. Tutti di area maroniana. Le dimissioni di Boni sembrano favorire la direzione intrapresa dal partito dopo lo scandalo sui finanziamenti pubblici: far uscire di scena i bossiani per lasciare spazio ai maroniani.
Il mini-rimpasto di ieri, ufficialmente provocato dall'esigenza di aumentare la rappresentanza femminile, non ha placato le polemiche. Anzi, se il tema sollevato è la quota rosa, il Pd contesta che la presenza femminile sia ancora sufficiente: «Esprimiamo la nostra stima per le due nuove assessore, ma questo non basta a farci cambiare il giudizio negativo sul governo di Formigoni, che è giunto al capolinea e deve dimettersi - dicono le consigliere Sara Valmaggi e Arianna Cavicchioli, del Pd –. Inoltre le due nuove nominate non sono sufficienti a garantire le pari opportunità».
Il Pd ha intanto annunciato che presto arriverà in consiglio regionale una mozione di sfiducia contro il governatore lombardo. La situazione al Pirellone, al di là degli scontri politici, è particolarmente delicata: attualmente sono dieci gli indagati, di cui otto per reati relativi a corruzione o concussione. Gli inquisiti sono consiglieri (tra cui uno, Filippo Penati, del Pd) o ex assessori.
Intanto il presidente della Lombardia Roberto Formigoni torna a difendersi dalle accuse di presunti scambi di favori - come riportato da alcune indiscrezioni giornalistiche - tra lui e Pierangelo Daccò, indagato nell'inchiesta sulla fondazione sanitaria Maugeri. «La Regione Lombardia ha un governatore limpido come acqua di fonte - dice Formigoni - Non mi dimetto perché non sono oggetto di nessuna indagine, e punto a rimanere fino al 2015». Ieri inoltre, durante una conversazione in diretta televisiva alla trasmissione "La Telefonata" di Maurizio Belpietro, il presidente lombardo ha rincarato la dose: «C'è un clima alimentato da gruppi giornalistici, editoriali e di potere che mirano a spazzare via l'esperienza politica più importante dopo Berlusconi».
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