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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2012 alle ore 06:40.

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«Quello del Governo argentino è un atto gravissimo che non potrà restare impunito». Di fronte alla nazionalizzazione di Ypf il numero uno di Repsol, Antonio Brufau, non usa giri di parole, si appella alla comunità internazionale e chiede un risarcimento miliardario. Lo scontro andava avanti da settimane ma anche per il top manager di Repsol era difficile prevedere che le minacce e gli annunci che giungevano da Buenos Aires si sarebbero trasformati «in un esproprio del tutto illegale» delle attività del suo gruppo. Lunedì invece con una mossa clamorosa annunciata a reti unificate il presidente argentino Cristina Fernandez Kirchner ha deciso di rinazionalizzare Ypf espropriando il 51% delle azioni in portafoglio alla spagnola Repsol che controllava la compagnia con il 57,4 per cento.
Repsol ha fatto sapere che si muoverà per ottenere un arbitrato internazionale e arrivare a una compensazione che potrebbe superare i 10 miliardi di dollari. Ieri mentre il titolo in Borsa iniziava a recuperare dai minimi della seduta - a -6% dopo essere arrivato a perdere oltre l'8% - Brufau ha sottolineato che sarà chiesta una compensazione che dovrà essere «almeno uguale» al valore della quota di Repsol: il 57,4% del capitale di Ypf. Ma il risarcimento, considerando anche il danno subito per l'azione di forza, potrebbe raggiungere in totale 18 miliardi di dollari. Il numero uno della compagnia spagnola ha inoltre ribattuto alle accuse del Governo argentino secondo le quali il gruppo iberico non avrebbe investito abbastanza nella controllata. «Dopo aver acquisito la filiale nel 1999 - ha detto Brufau - abbiamo investito 20 miliardi di dollari, una somma che va ad aggiungersi ai 15 miliardi di dollari stanziati per acquistare Ypf. E da allora - ha sottolineato - gli investimenti sono sempre stati molto superiori ai risultati». Secondo Repsol la decisione del presidente Cristina Fernadez Kirchner «è solo un tentativo di nascondere la crisi economica e sociale di cui soffre attualmente l'Argentina» anche come «conseguenza della sua politica energetica sbagliata». Secondo Brufau inoltre le tensioni alimentate dal Governo argentino nelle ultime settimane avevano «l'obiettivo di fare scendere il titolo per rendere l'espropriazione di Ypf meno costosa: «Un'azione del tutto fuori luogo per un Paese moderno, l'Argentina non si merita questo», ha concluso.
La decisione del Governo argentino - che trova paragoni recenti solo nella strategia autarchica di Hugo Chavez in Venezuela - «è un atto ostile nei confronti della Spagna, un atto senza giustificazioni e anche un precedente molto pericoloso nei rapporti tra l'Europa e l'America Latina», ha detto ieri pomeriggio il premier spagnolo Mariano Rajoy dal Messico. «È una mossa - ha spiegato Rajoy - che provoca danni per tutti, in primo luogo per la compagnia petrolifera alla quale è stata sottratta parte della sua attività senza alcuna motivazione, senza giustificazione economica che tenga. E i danni saranno profondi anche nelle relazioni tra i due Paesi: rompe l'intesa che sempre avevamo mantenuto e pregiudica la credibilità internazionale dell'Argentina».
Il Governo di Buenos Aires punta «all'autosufficienza energetica» e ha giustificato la legge sulla nazionalizzazione di Ypf presentata in Parlamento - dove non avrà problemi per l'approvazione - con «l'interesse pubblico nazionale e prioritario che riguarda l'estrazione, la produzione e la commercializzazione degli idrocarburi». «Siamo l'unico Paese dell'America Latina e quasi del mondo che non gestisce le sue risorse naturali», aveva specificato Cristina Fernandez Kirchner: nel 2011, per la prima volta in 17 anni, l'Argentina ha dovuto importare petrolio e gas per 10 miliardi di dollari.
Ma secondo Rajoy lo scontro con Buenos Aires deve mettere in allarme tutti e non solo le altre società spagnole, a partire dalle grandi banche e da Telefonica alle quali lo stesso Governo argentino ha fatto riferimento in questa disputa. «Quello che sta accadendo in queste ore alla compagnia spagnola - ha dichiarato il premier popolare - potrebbe succedere domani a qualsiasi altra società che ha investito risorse in Argentina. In un'economia globalizzata le conseguenze saranno molto gravi».
Per tutta risposta in serata l'Argentina ha fatto sapere che non intende pagare alcun risarcimento. «Non vediamo alcuna ragione per pagare, non dobbiamo risarcire nulla, non potevamo lasciare Ypf in mano a chi non ha fiducia nel nostro Paese», ha detto alle tv argentine il viceministro Axel Kicilliof.
luca.veronese@ilsole24ore.com
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