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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2012 alle ore 06:39.

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La lettera inviata nei giorni scorsi dal premier Mario Monti alla presidentessa argentina Cristina Fernandez de Kirchner è l'ultimo atto del lungo confronto ingaggiato da Enel per sollecitare un cambio di rotta della strategia energetica di Casa Rosada. Che, dal 2002, con continue leggi di "emergenza pubblica", ha drogato il mercato elettrico nazionale, lasciando praticamente inalterate le tariffe a fronte di costi crescenti e ormai insostenibili per Edesur ed Endesa Costanera, controllate del gruppo italiano.
In quella missiva, datata 2 aprile, il presidente del Consiglio sottolinea il rischio di insolvenza per le due società e sollecita «misure immediate che gli consentano di superare tale delicato momento» e, nel medio periodo, «azioni strutturali volte a ripristinare un funzionamento sostenibile del mercato elettrico». Nel quale Enel, attraverso la partecipata spagnola Endesa, gioca un ruolo di primo piano. «Nel solo 2007-2011 - ricorda Monti - gli acquisti di beni e servizi sono stati di circa 600 milioni di dollari, sono stati generati 9mila posti di lavoro tra diretti e indiretti e sono stati investiti oltre 900 milioni di dollari nel miglioramento del servizio, mentre sono stati distribuiti solo 67 milioni di dollari di investimenti».
Nessuna voglia di fuggire dall'Argentina, sia chiaro, ma le cifre messe nero su bianco nei bilanci delle due società sono un campanello d'allarme che non poteva più essere trascurato. Edesur ha archiviato il 2011 con perdite pari a 111 milioni di dollari e ha scontato, negli ultimi dieci anni, un aumento dei costi del 440 per cento. E le cose non sono andate meglio per Endesa Costanera che ha chiuso i conti dello scorso anno con un passivo di 41 milioni di dollari. Pagando gli effetti di un deficit di cassa strutturale dovuto a una remunerazione insufficiente e ai notevoli ritardi nei pagamenti da parte di Cammesa, l'operatore pubblico del mercato argentino incaricato di pagare i generatori.
Conti in profondo rosso che hanno spinto i vertici del gruppo a intervenire. Così, nel settembre scorso, l'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, è volato a Buenos Aires dalla Kirchner per provare a raddrizzare la situazione. Poi, a dicembre, è stata la volta del numero uno di Endesa, Andrea Brentan, che ha tentato di riportare a più miti consigli l'esecutivo argentino. Una moral suasion che non ha avuto esito, nonostante sulla partita fosse intervenuta anche la Spagna, per via del coinvolgimento di Endesa.
Così, davanti alle mancate risposte di Casa Rosada, Enel ha giocato l'ultima carta che aveva a disposizione investendo della questione il presidente del Consiglio e il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera. Da qui la presa di posizione di Monti e quella lettera arrivata sul tavolo della Kirchner prima che scoppiasse il ciclone dell'esproprio della società energetica Ypf, controllata della spagnola Repsol. E prima che cominciasse il ritiro delle concessioni oil & gas detenute da alcune compagnie estere, tra cui Tecpetrol, braccio petrolifero del gruppo italiano Techint.
Nella sua lettera il premier prova peraltro ad allargare il discorso esprimendo preoccupazione per i provvedimenti adottati dal Governo argentino «tesi a restringere le importazioni attraverso l'imposizione di barriere tariffarie e non tariffarie». Non fa nomi Monti, ma la politica di accerchiamento della Kirchner e del suo esecutivo rischia di mettere in difficoltà anche altre imprese. A cominciare da Eni, solo per citare alcuni casi. Il Cane a sei zampe, insieme ai tedeschi di E.On, controlla Ecogas, che opera attraverso Distribuidora de Gas del Centro e Distribuidora de Gas Cuyana. E, davanti al congelamento delle tariffe, ha reagito presentando un reclamo che sollecita gli adeguamenti bloccati da dieci anni. Ma, a dover fare i conti con l'aggressiva politica della presidentessa, è anche Telecom Italia, con la controllata Telecom Argentina. Che, il prossimo 27 aprile, deciderà cosa fare dei suoi dividendi dopo l'appello rivolto dalla Kirchner alle controllate estere in Argentina affinché non paghino cedole alla capogruppo. Un altro nodo nella delicatissima partita che si gioca tra Buenos Aires, Roma e l'Europa.
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