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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2012 alle ore 06:38.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
«È il freddo ad avermi svegliata. A meno che non sia stato il silenzio. Un silenzio di morte, abbastanza assordante da strappare al sonno una bambina di otto anni». Inizia così l'autobiografia che Marine Le Pen ha scritto nel 2006 (A contre-flots, Controcorrente il titolo dell'edizione italiana). Con il racconto della notte tra il 1° e il 2 novembre del 1976, quando una carica di tritolo sventrò la casa in cui abitava con i genitori e le due sorelle, a Parigi. La notte in cui, scrive poco più avanti, «sono entrata a capofitto nella politica, nella sua forma più violenta e brutale».
Quella notte, e nei giorni successivi, Marine capisce improvvisamente quanto è difficile chiamarsi Le Pen. Ne avrà la conferma a scuola. Seguendo in campagna elettorale, da quando ha 15 anni, il padre Jean-Marie, che nel 1972 aveva fondato il partito di estrema destra Front national. Alla facoltà di giurisprudenza. Nelle aule di tribunale, durante i sei anni in cui eserciterà la professione.
Un clima così difficile da non lasciare molte alternative: o si getta la spugna o si diventa dei duri. Marine ha scelto la seconda, è diventata una dura.
Entra nel Front national a 18 anni e nel 1993, a 24, si candida per la prima volta. A Parigi, alle legislative. Ma è abbastanza sveglia e lungimirante da capire che il futuro del partito non è nella capitale. E non è con i nostalgici di Vichy, dell'Indocina, dell'Algeria francese, con i cattolici integralisti. Bisogna cambiare passo, rivolgersi ai giovani, ai disoccupati, all'ex classe media che è diventata povera. Bisogna cambiare messaggio, passando dagli slogan sulla sicurezza e l'immigrazione (pur senza accantonarli del tutto) alle proposte sul terreno economico e sociale.
Sceglie quindi il Nord-Pas-de-Calais, regione disastrata del Nord-Est. E si installa politicamente a Hénin-Beaumont. Ci siamo stati e abbiamo incontrato il suo braccio destro locale, Steeve Briois, che ci ha spiegato in poche, chiare parole la strategia del nuovo Front national: «La vede la povertà di questo posto? Prima la chiusura delle miniere, poi lo smantellamento della siderurgia, infine la delocalizzazione delle attività tessili. Questa era una regione industriale, ora resta solo l'auto. E gli altri?. Chi non ha un posto nell'auto cosa fa? Noi siamo famosi per le posizioni sull'immigrazione. Ed è giusto. Perché la preferenza nazionale, prima i francesi poi gli altri, resta un pilastro. Ma la gente finalmente capisce che siamo anche il partito del sociale, della guerra alle delocalizzazioni, della politica che governa l'economia e non il contrario. Lo capiscono soprattutto i giovani, che non trovano lavoro o se lo trovano è precario e malpagato. E hanno paura».
Nel 2002, all'indomani del clamoroso passaggio di Jean-Marie Le Pen al secondo turno, Marine viene catapultata davanti alle televisioni. E funziona. È una donna, è giovane, è affascinante e intrigante (bionda, con un bel sorriso, tre figli e due divorzi), è preparata e ha la battuta pronta. L'altra faccia del partito, insomma.
Che lei prende in mano poco più di un anno fa con l'obiettivo di farlo uscire dall'immagine caricaturale dell'identificazione con il padre ottantenne e trasformarlo in un partito vero, normale, credibile. Per creare un nuovo polo di aggregazione a destra, trasformare la protesta in proposta politica e un domani, chissà, governare. Si circonda di una squadra di efficienti quarantenni ed espelle chiunque sia così cretino da farsi fotografare con la bandiera nazista o il braccio teso nel saluto romano.
Il programma, incentrato sull'uscita dall'euro, è a grandi linee quello che ha spiegato lei stessa in un'intervista al Sole-24 Ore: «Vogliamo una Francia nuovamente sovrana. Che controlla la sua moneta, il suo bilancio, le sue frontiere. Che faccia un po' di sano protezionismo. Basta con la libera circolazione delle persone, che significa immigrazione a basso costo per alleggerire le buste paga dei francesi. Basta con la libera circolazione delle merci, che vuol dire concorrenza sleale e delocalizzazione produttiva. Basta con la libera circolazione dei capitali, che apre le porte alla speculazione. Veniamo da un secolo caratterizzato da due totalitarismi, il nazismo e il comunismo. E ora ne stiamo vivendo altri due, il mondialismo e l'islamismo. La dittatura del libero mercato, finto, e della religione. Noi non ci stiamo».
L'operazione, stando ai risultati, ha funzionato: domenica scorsa il Front National ha superato il 20% in 43 province su 101 (erano 25 cinque anni fa), è arrivato al 23% tra i giovani sotto i 24 anni ed è il primo partito (33%) tra le fasce sociali più deboli. La prossima tappa? Le legislative. Per cercare di colorare la Francia con un po' di "bleu Marine".
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