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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2012 alle ore 09:13.

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«Generazione mille euro». Non si tratta di lavoratori precari. Ma di ben 7,6 milioni di pensionati costretti a vivere con meno di mille euro al mese. Vale a dire, quasi uno su due, visto che rappresentano il 45,4% dei 16,7 milioni di pensionati 2010, come ha sottolineato ieri uno studio su importi previdenziali e beneficiari targato Inps e Istat.
Una fotografia decisamente in bianco e nero: 2,4 milioni di pensionati (il 14,4% dei 16,7 milioni totali) ha ricevuto nel 2010 assegni (uno o più pensioni) di importo inferiore ai 500 euro; per 5,2 milioni di persone (31%) le prestazioni sono oscillate tra i 500 e i mille euro; il 23,5% ha portato invece a casa assegni tra i mille e i 1.500 euro; mentre un pensionato su tre (il 31,1% per la precisione) ha ricevuto pensioni di importo totale superiore ai 1.500 euro. Nel 2010 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche in Italia (ne sono state erogate 23,8 milioni) è stata pari a 258,5 miliardi (+1,9% rispetto al 2009), ma in diminuzione se riferita alla sua incidenza sul Pil (16,64% nel 2010 rispetto al 16,69% registrato l'anno precedente).

In media i pensionati 2010 hanno percepito 15.471 euro. Ma è ancora forte il gap "di genere": le donne (che ne rappresentano circa il 53%) hanno incassato assegni di importo medio pari a 12.840 euro. Mentre per gli uomini si sale a 18.435 euro. E il 54,9% delle donne ha ricevuto meno di mille euro, a fronte di una quota del 34,9% tra gli uomini.
Con questi dati, «interventi sui redditi da pensione non sono più rinviabili», ha commentato la numero uno dello Spi-Cgil, Carla Cantone. Che ha indicato, nell'immediato, tre priorità: «Togliere il blocco della rivalutazione annuale iniquamente imposto dalla riforma pensionistica di dicembre di Elsa Fornero; rimuovere l'idea perversa di introdurre nuovi ticket; e stanziare risorse necessarie per rifinanziare il Fondo per la non autosufficienza cancellato dal Governo Berlusconi». A queste prime misure, ha aggiunto il segretario confederale Uil, Domenico Proietti, andrebbe attivato, magari nell'ambito dell'annunciata riforma del fisco, «un primo modulo di riduzione delle tasse sui redditi da pensione che permetta di recuperare il potere d'acquisto perso in questi anni». Che dal 1993 a oggi, ha calcolato il Codacons, per una pensione medio-bassa, «si è ridotto di oltre il 50 per cento».

Tornando ai dati diffusi ieri da Istat e Inps spicca come le pensioni di vecchiaia, da sole, assorbano il 71% della spesa pensionistica totale (quelle ai superstiti si fermano al 14,9%). Mentre rispetto al 2009, le pensioni di invalidità 2010 hanno subito una contrazione del 5,4% «a seguito della variazione negativa dei trattamenti (-6,6%), solo parzialmente compensata da quella positiva degli importi medi (+1,3%)», è scritto nello studio. Oltre due terzi dei pensionati poi (il 67,3% per l'esattezza) ha percepito nel 2010 una sola pensione. Circa un terzo ne percepisce due o tre. Il gruppo più numeroso di pensionati (11,6 milioni) è rappresentato dai titolari di assegni di vecchiaia, mentre il gruppo meno numeroso è quello dei titolari di pensioni di guerra: sono poco più di 292mila unità. Rispetto alla popolazione occupata, nel 2010 ci sono stati 71 pensionati ogni 100 occupati.
Quasi la metà delle pensioni (ancora) viene erogata al Nord. Ma mentre al Settentrione ci sono più beneficiari di pensioni di vecchiaia, al Sud i «valori più elevati» sono di titolari di prestazioni di invalidità civile e pensioni sociali. Il 70,9% dei pensionati poi ha più di 64 anni. Il 25,6% tra i 40 e i 64 anni, e il 3,5% meno di 40. In questi casi però, ad abbassare la soglia anagrafica, sono state le rendite per infortunio sul lavoro e le pensioni di invalidità (da lavoro o civile) che sono erogate a soggetti in età attiva.

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