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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2012 alle ore 06:44.

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Colpevole. Reo di aver facilitato e incoraggiato crimini di guerra e contro l'umanità in Sierra Leone, dove negli anni 90 almeno 50mila persone furono uccise, e molte altre riuscirono a sopravvivere con gravissime mutilazioni. Colpevole di aver venduto le armi impiegate per i massacri in cambio di diamanti.
Charles Taylor, 64 anni, il feroce ex presidente della Liberia, il Signore dei diamanti insanguinati, è stato condannato ieri dalla Corte internazionale per la Sierra Leone. La durata della pena sarà resa nota il 30 maggio, il luogo dove sconterà la condanna sarà presumibilmente un carcere britannico. A leggere il verdetto - trasmesso in diretta tv a Freetown, capitale liberiana, e accolto con un'esplosione di gioia nelle piazze - è stato il presidente della corte, Richard Lussick: Taylor è colpevole di «aver facilitato e incoraggiato crimini di guerra e crimini contro l'umanità».
Undici i capi di imputazione, tutti riconosciutigli, tutti estremamente gravi. Tra i quali assassini su larga scala, stupri, arruolamento di bambini soldato, schiavitù sessuale. Ma è stata una condanna a metà, che non soddisfa tutti. Perché Taylor non è stato incriminato per aver ordinato e pianificato i massacri – obiettivo a cui ambivano molte organizzazioni umanitarie - quanto per averli facilitati fornendo armi, cibo, equipaggiamenti vari alle milizie della Sierra Leone responsabili delle stragi. Come altri suoi illustri predecessori, da Saddam Hussein, a Slobodan Milosevic, Charles Taylor si è sempre professato innocente.
Chi è rimasto deluso dal verdetto - tra questi i parenti di molte vittime – lamenta il fatto che l'ex presidente liberiano non sia stato condannato per aver effettivamente controllato e comandato le milizie della Sierra Leone. Che non sia stato giudicato responsabile, individualmente e direttamente, dei crimini contro l'umanità. O che non sia stato riconosciuto il suo ruolo primario in una più ampia organizzazione autrice dei massacri.
Ancora gli abitanti della Sierra Leone ricordano con orrore "Taylorland", la regione settentrionale del Paese da cui provenivano negli anni Novanta i "bloody diamonds", i diamanti insanguinati. Un commercio personale tra il signore della guerra liberiano e il suo omonimo della Sierra Leone, il terribile caporale Foday Sankoh, capo dei ribelli sierraleonesi del Ruf (Revolutionary United Front), che fruttava almeno 200 milioni di dollari all'anno. Un affare sporco, che ha paradossalmente trasformato la Liberia in un grande esportatore di diamanti pur non avendone quasi nessuno.
La condanna di ieri resta comunque un successo importante. Perché è la prima volta che una corte internazionale condanna un ex capo di Stato da quando fu istituito il tribunale di Norimberga contro gli alti gerarchi nazisti. Perché è un duro monito - come ha sottolineato ieri l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani Navi Pillay - per altri capi di Stato coinvolti in azioni simili. «È un segnale importante: non conta chi sei e quale posizione occupi, la giustizia ti chiederà di rispondere dei tuoi crimini», le ha fatto eco Amnesty International, pur precisando che per la tragedia della Sierra Leone, la condanna di Taylor è «solo la punta dell'iceberg». Ed è - ha precisato Amnesty - solo la prima tappa: «Il verdetto ricorda anche alle autorità liberiane la necessità di processare Taylor per i crimini commessi nel suo Paese, durante la sua presidenza». Una guerra civile, quella liberiana, ancora più lunga (iniziata nel 1989 e terminata 14 anni dopo), dove le vittime furono almeno 300mila.
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