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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2012 alle ore 10:04.

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Ombre cinesi, contabili, e ora fiscali, quindi concrete, sull'economia d'un Paese, la Cina, che sembrava aver schivato l'impatto più deciso impresso dalla recessione globale sui mercati. Sbagliato. I dati diffusi in questi giorni dal ministero delle Finanze di Pechino, infatti, hanno di fatto sanzionato il rallentamento dell'economia del Dragone, già manifestato sul versante del prodotto interno lordo, certificando una parallela sterzata, comunque non brusca, in materia di entrate fiscali.

Insomma, le 8 ore e 66 minuti, il tempo che mediamente un lavoratore cinese trascorre in ufficio, o in fabbrica, i 3 milioni di nuovi occupati sbandierati nel periodo gennaio-marzo 2012 e il ritrovato vigore degli investimenti esteri diretti iniettati sul tessuto produttivo, non sono stati affatto sufficienti ad evitare il rimbalzo tecnico della Crisi mondiale, perché è così che viene etichettato dai responsabili delle finanze cinesi, anche sui flussi in ingresso contabilizzati dal fisco e relativi, anch'essi, al I quadrimestre dell'anno in corso.

C'è crisi in Cina? Parola al fisco - Nel dettaglio, il gettito relativo al periodo gennaio-marzo 2012 è stato pari a 411 miliardi di dollari, registrando una crescita del 10,3 per cento rispetto all'anno precedente. Un dato di corsa che, letto in altri Paesi, soprattutto europei, evocherebbe subito le ombre del Tesoretto. La musica cambia a Pechino, basti pensare che nel medesimo periodo del 2011 le entrate fiscali avevano esibito un'impennata del 32% sul 2010. In definitiva, osservando la crescita messa a segno in passato, il dato certificato dal Ministero delle Finanze per l'anno in corso costituisce la perfomance peggiore dal 2008.
In altre parole, le entrate tributarie frenano nonostante la crescita, e per la stragrande maggioranza di esperti e analisti che da tempo monitorano l'andamento dell'economia del Dragone, questa revisione al ribasso, o decelerazione, del gettito d'imposte e tasse è la prova evidente che anche la Cina inizia ad essere intaccata dalla recessione mondiale nei suoi fondamentali, anche se non a livello dei suoi maggiori partner, soprattutto europei, oltre agli Usa.

Frenate parallele – Osservando da vicino la composizione del gettito fiscale, è l'imposta sui redditi delle persone fisiche che risulta la più colpita, quasi congelata nella sua corsa. Rispetto al 2011, infatti, le entrate che ne derivano sono quasi dimezzate nella loro crescita transitando dal +11,4% dell'anno passato al 6,3% attuale. Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, i numerosi sconti fiscali introdotti nel 2011, e soprattutto la revisione, verso l'alto, di tutti gli scaglioni dei redditi. Modifica che ha determinato un significativo ammorbidimento del peso del fisco sui bilanci familiari dei redditi medio-bassi.

Il discorso cambia in materia d'imposte indirette, in particolare l'Iva, l'imposta sui consumi e sulle transazioni. In questo caso si tratta di tre differenti voci in entrata. Tutte invariabilmente crescono e tutte decelerano. La ragione è da ricercare nella frenata del mercato immobiliare il cui valore complessivo delle compravendite risulta essere sceso del 20%. Conseguentemente, anche la somma derivante dalle tasse e dalle imposte correlate è stata indebolita.

La danza dell'imposta sui profitti, rallenta ma non s'arresta – Per avvicinarsi a distanza di sicurezza sui bilanci delle imprese cinesi è necessario destreggiarsi tra i numeri d'un pil che, per il quinto trimestre consecutivo, scende, esibendo un tasso di crescita dell'8,1% nel periodo gennaio-marzo 2012, e il brusco aumento dei consumi energetici e delle materie prime. A queste due voci è poi necessario aggiungere una terzo dato, ben rappresentato, anzi, simboleggiato, dallo scivolare verso il basso della bilancia commerciale con l'estero. In questo caso, il segno rosso è imputato dai responsabili dell'economia direttamente al reclinare degli scambi oltreconfine registrato negli Usa e nell'area racchiusa all'interno delle frontiere dell'Unione europea.
Confini quest'ultimi fragili politicamente e disperati sia economicamente sia commercialmente in quanto incapaci di coordinarsi. E per finire la debacle, per la verità modesta, rilevata sulle entrate legate all'imposta sui profitti sarebbe in relazione con la svolta neo-protezionista messa in atto da diversi Paesi sviluppati, in primis dagli States.

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