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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2012 alle ore 06:41.

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ROMA
Palazzo Chigi accelera sulle nomine Rai. Secondo alcune fonti di governo, sarebbe già partito l'esame di curricula con relativi primi colloqui. In serata il sottosegretario a Palazzo Chigi Antonio Catricalà ha escluso però che siano iniziate consultazioni ufficiali, sottolineando che «in ogni caso bisogna affrettarsi, perché il cda Rai è effettivamente in scadenza».
È certo comunque che il premier Mario Monti intenda adottare una procedura tesa alla massima trasparenza per chiudere una partita delicatissima. Appena due giorni fa Monti aveva usato parole dure sulla situazione della Rai. «Un'azienda dove la logica dell'indipendenza dalla politica non è garantita». L'assemblea degli azionisti chiuderà il mandato dell'attuale cda domani o al massimo l'8 maggio con il via libera al bilancio, nel frattempo dovrebbe entrare nel vivo il lavoro della commissione di Vigilanza per il voto dei nuovi membri. Il cda potrebbe essere rinnovato entro la metà di maggio, ma le posizioni dei partiti della maggioranza restano distanti e bisogna attendere le mosse del governo. Il Pdl insiste per il rinnovo con la legge vigente (la "Gasparri"), il Pd per la riforma della governance richiesta anche ieri dal segretario Pier Luigi Bersani.
Il governo dovrà proporre un consigliere, il presidente e il direttore generale ma, nomi a parte (resterebbero in lizza Francesco Caio, Rocco Sabelli, Claudio Cappon, Giancarlo Leone, Giulio Anselmi), in gioco ci sono anche le regole. Tra le ipotesi di modifica della governance resta il taglio dei consiglieri, da nove a cinque, con un rafforzamento dei poteri del presidente. Ma il Pdl continua a fare muro. «L'elezione del consiglio d'amministrazione della Rai - incalza il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri – è regolata da norme conformi alle sentenze della Corte costituzionale. Modifiche con modalità improprie o richiami a norme relative a situazioni completamente diverse rappresenterebbero violazioni molto gravi, che non possono essere praticate». «Si può andare avanti con questa legge – taglia corto il presidente della Rai Paolo Garimberti – ma l'importante è ci siano nomine trasparenti. È difficile – aggiunge – non essere d'accordo con Monti soprattutto sul rapporto tra politica e Rai. Ora ci potrebbe essere una svolta».
Intanto, l'ufficio di presidenza della commissione di Vigilanza ha dato mandato al presidente Sergio Zavoli di prendere contatti con il ministro per i rapporti con il Parlamento Piero Giarda ed eventualmente con Monti per conoscere le indicazioni dell'esecutivo. Tra le candidature attese a Palazzo Chigi anche quelle di Michele Santoro e Carlo Freccero. «È vero, dovevamo spedirli, sono pronti e imbustati, ma li spediremo domani (oggi per chi legge, ndr)» ha precisato Santoro.
A spiegare la nuova linea del governo – massima trasparenza attraverso curricula pubblici – è stato ieri anche il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera a margine della presentazione del rapporto di fine mandato dell'Authority per le comunicazioni. «Su tutto il tema delle nomine – ha spiegato – ci sono pensieri in corso di questo tipo. C'è bisogno di meritocrazia e di meccanismi che permettano di trovare le persone più adeguate per gli incarichi». Il bilancio del presidente dell'Agcom Corrado Calabrò ha toccato per larghi tratti il mondo della tv. Il presidente uscente dell'Authority ha ricordato con forza gli appelli inascoltati per una riforma della Rai, «che la svincolasse dalla somatizzata influenza politica e ne reimpostasse l'organizzazione con una governance efficiente, una migliore utilizzazione delle risorse e la valorizzazione del servizio pubblico». Dopo sette anni di mandato, ha spiegato poi Calabrò, la situazione del mercato televisivo è i «sia pure lentamente» in trasformazione. Le sei reti generaliste di Rai e Mediaset detengono circa il 67% dello share medio giornaliero, La 7 quasi il 4%, Sky il 5%. Per quanto riguarda invece le risorse, resta fondamentalmente la tripartizione tra Rai, Mediaset e Sky Italia che a fine 2010 avevano rispettivamente il 28,5%; il 30,9% e il 29,3% del totale.
I sette anni all'Agcom si chiudono anche con una critica al sistema della «par condicio», superata dall'evoluzione dei media. «La normativa di legge – secondo Calabrò – va aggiornata per tener conto delle mutazioni subite dalla comunicazione televisiva (specie con l'inserimento dei politici nei programmi informativi) ed è da riconsiderare in relazione all'incalzante realtà di internet».
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