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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2012 alle ore 16:16.

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Il Big Sunday elettorale dell'Europa sarà una giornata importante ma non decisiva. Il voto in Francia per le presidenziali, in Grecia per le legislative e in Italia per le amministrative sono solo l'inizio di un lungo processo di riconfigurazione degli assetti politico-istituzionali nel Vecchio Continente. Le scosse di assestamento proseguiranno almeno fino al settembre 2013, quando saranno i tedeschi ad andare alle urne per scegliere la nuova maggioranza di governo.

Mercati e speculazione, sempre alla ricerca di pretesti per destabilizzare la zona euro, avranno quindi buoni argomenti per continuare a coltivare la loro ansia sulla tenuta della moneta unica. Dovranno metabolizzare le incertezze legate alla probabile ascesa all'Eliseo di un altro presidente socialista; aspettare che la Francia, non prima della fine di giugno, scelga anche la maggioranza parlamentare coerente con l'esito delle presidenziali. E dovranno probabilmente rassegnarsi a convivere con la cronica instabilità e frammentazione politica della Grecia, dove già si parla di nuove elezioni anticipate dopo quelle – già anticipate – del 6 maggio.
Non meno importante sarà la valutazione sulle capacità di dialogo dell'asse franco-tedesco, sia esso sotto forma di un "Merkozy Bis" o dell'inedito "Merkhollande". Almeno su questo fronte un importante riallineamento, per ora semantico, è già in atto e (anche) in previsione della vittoria di François Hollande il coro dei leader europei che vogliono rimettere la crescita al centro delle priorità di politica economica è diventato ormai frastornante.

In attesa che l'evocazione della crescita si trasformi in misure concrete, continua a mancare all'appello di un credibile piano di rilancio dell'Europa l'elemento evocato da Mario Draghi l'altro giorno a Barcellona: la visione. Vale a dire una progettualità di medio-lungo termine che mostri con chiarezza ciò che dovrebbe/potrebbe diventare l'Unione monetaria nei prossimi dieci anni, quali e quanti trasferimenti di sovranità nazionale, soprattutto in materia di politiche fiscali, sono auspicabili e tollerabili dagli Stati-Nazione. Il fiscal compact, ha spiegato il governatore della Bce, è soltanto l'inizio.

Sembra un'astrazione, in realtà è un appello strutturato ai politici europei affinché mostrino «maggiori ambizioni». Ma perché la visione strategica sostituisca la visione tattica e di corto respiro che ha ispirato l'asse franco-tedesco durante la crisi del debito sovrano, non basterà, appunto, il Big Sunday. Angela Merkel non vorrà lanciarsi in un nuovo round di integrazione europea prima di sapere se e come verrà rieletta nel settembre dell'anno prossimo, ragion per cui gran parte del 2013 rischia di trasformarsi per l'Europa in una penosa traversata del deserto, più che mai esposta all'imponderabilità dei mercati.

C'è solo da sperare in una salutare accelerazione del calendario elettorale tedesco. Se al voto del 6 maggio nel piccolo Land dello Schleswig Holstein, ma soprattutto a quello della domenica successiva in Nordreno-Vestfalia, la regione più popolosa della Germania, i liberaldemocratici dovessero andare male, allora si aprirebbero scenari interessanti. In tal caso Angela Merkel potrebbe scaricare il partner di governo, l'Fdp, che già nei sondaggi nazionali fa fatica a mantenere il 5% di consensi necessari a entrare al Bundestag, e anticipare le legislative con la speranza, tutt'altro che vana, di ripetere l'esperienza della Grosse Koalition con i socialdemocratici. Soprattutto da questa prospettiva la grande domenica elettorale diventa interessante, e atipica. Lo spettacolo è in Francia, la paura sta ad Atene, la passione e le polemiche per le comunali in Italia, ma l'auspicabile colpo d'acceleratore all'integrazione europea potrebbe arrivare da due "insospettabili" voti regionali tedeschi.

attilio.geroni@ilsole24ore.com

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