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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2012 alle ore 14:36.

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Cosa potrebbe dire il presidente del Consiglio all'Europa se volesse (come vogliono molti in Europa) rendere meno stretta la camicia di forza dell'austerità che avviluppa i Paesi dell'euro? Ci sono due vie, ambedue intellettualmente rispettabili, per allentare questa pro-ciclica severità che rischia di invischiare l'intero Vecchio continente nella stagnazione o peggio.

La prima riguarda tutti i Paesi, la seconda è specifica all'Italia. Nel suo passato professorale Mario Monti ha a più riprese sostenuto la golden rule, ossia il pareggio della parte corrente del bilancio pubblico. Una regola che ha già riproposto nella sua nuova veste e che potrebbe essere ripresa con forza approfittando della nuova presidenza francese. Che cosa vuol dire?

Quando guardiamo all'utile o alla perdita di una normale impresa - mettiamo, la Fiat - quale cifra prendiamo? Prendiamo quella che risulta dall'ultima riga (la bottom line, dicono gli anglosassoni) del conto profitti e perdite. Giusto? Giusto. E quando guardiamo al saldo del "conto profitti e perdite" dello Stato, quale cifra prendiamo? Il famoso "conto della Pubblica amministrazione" (Pa) da cui si ricava il deficit - o il surplus - secondo Maastricht. Giusto? Sbagliato. Il saldo del conto della Pa non ha niente a che fare col saldo dei conti di una normale impresa, perché include fra le spese anche gli investimenti. In una impresa gli investimenti vanno "sotto la linea", ed è normale che vengano finanziati con capitale di debito o con capitale di rischio.

Lo stesso dovrebbe valere per lo Stato, ma nella pratica non è così. È quindi intellettualmente rispettabile sostenere che un Paese ben gestito deve mirare ad avere il bilancio (la parte corrente) quanto meno in pareggio, e finanziare gli investimenti senza necessariamente gravare sulle tasse.

La seconda questione riguarda l'annoso punctum dolens dei debiti della Pa verso i fornitori. Anche qui, è senz'altro possibile arguire che un'operazione straordinaria di accelerazione dei pagamenti di questi debiti non va veramente a impattare sul debito pubblico, come teme invece la Ragioneria.

Spieghiamo: nel debito pubblico non sono oggi compresi i debiti verso i fornitori. Mentre il buon padre (o madre) di famiglia, se deve soldi al macellaio, deve mettere quel debito fra le sue passività, lo Stato non è obbligato a farlo. O, per meglio dire, sarebbe obbligato a farlo dalle regole internazionali della contabilità nazionale, che su questo punto seguono il buon senso del padre di famiglia. Il problema è che non tutti gli Stati calcolano questa grandezza. Talché, quando si trattò di mettere i puntini sulle "i" dei calcoli di Maastricht e definire le procedure di controllo per i disavanzi eccessivi, Bruxelles decise di escludere dal debito pubblico il debito verso i fornitori.

Conseguenza: i Paesi, e in particolare l'Italia che ha il più alto debito verso gli sfortunati creditori della Pa, sono restii ad accelerare i pagamenti verso i fornitori, perché questi maggiori esborsi si riverserebbero sul fabbisogno e sul debito. Specie di questi tempi, quando gli occhi dei mercati sono ossessivamente attenti alla stazza dei debiti sovrani, bisogna evitare di aumentarli. Se invece il debito pubblico includesse, secondo logica e verità, anche i debiti verso i fornitori, un'accelerazione dei pagamenti non avrebbe influenza sulla misura complessiva del debito (anche se, naturalmente, il suo livello di partenza sarebbe, per tutti i Paesi, più alto).

Ma in Italia non esistono misure ufficiali del debito verso i fornitori della Pa. Non sarebbe impossibile arrivarci, visto che su 17 Paesi dell'euro, 12 forniscono questa misura. Le imprese soffrono di alti costi e bassa domanda, la direttiva Ue del 2000 che prevedeva 30 giorni di massimo ritardo nei pagamenti è stata da noi recepita nel 2002 e puntualmente disattesa. Direttive più recenti prevedono 30 giorni o al massimo 60, ma solo per le forniture sanitarie. La vera stretta del credito viene, paradossalmente, dalla Pa prima ancora che dalle banche.

E la Commissione? I mercati? Non sarebbe impossibile pubblicare, da parte del Mef, due serie del debito pubblico, una che comprende i debiti della Pa verso i fornitori e un'altra tradizionale, ossequiente ai ragionieri di Maastricht. E spiegare poi pazientemente che un'accelerazione dei pagamenti alle imprese è un atto dovuto in momenti di crisi, e non cambia in nulla la vera situazione debitoria dello Stato italiano.

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