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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2012 alle ore 21:18.

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Da stasera Pierluigi Bersani potrà dire, parafrasando Carlo Rosselli: «oggi in Francia, domani in Italia». C'è da esser sicuri che la sinistra italiana non resisterà alla tentazione di "annettersi" la storica vittoria del collega francese, trasformandola in una premessa di analoghi successi al di qua delle Alpi. Eppure, in realtà non esiste un nesso diretto fra i festeggiamenti di Parigi e le prospettive di una prossima vittoria del Pd e dei suoi alleati in Italia. Ogni paese fa storia a sé, e il partito di Bersani, a ben vedere, non si considera nemmeno un partito socialista a tutti gli effetti. Si raffigura come un ibrido, grazie alla fusione di diverse tradizioni, compresa quella cattolica. Quindi la vittoria di Hollande non garantisce da sola che anche l'Italia si stia muovendo nella medesima direzione.

Diverso il sistema politico, diverso il sistema elettorale. Chi ha difeso per anni il modello a doppio turno (fra questi ci sono molti esponenti del centrosinistra) ha da domenica sera una ragione di più per rammaricarsi che l'Italia non abbia seguito l'esempio francese. Per la nostra sinistra, il doppio turno sarebbe oggi un formidabile aiuto nella conquista della maggioranza, come lo è stato per Hollande e prima di lui per Mitterrand.
Seconda differenza fra Roma e Parigi: Hollande dovrebbe poter governare con una maggioranza socialista, se le elezioni di giugno confermeranno la svolta odierna. Da noi, invece, il Pd non potrà quasi certamente governare da solo. Avrà bisogno di una porzione importante del centro moderato. E gli accordi in tal senso, sia con questo sistema elettorale sia eventualmente con quello neo-proporzionale di cui si parla, avverranno dopo il voto, non prima. Un'alleanza Bersani-Casini per il governo è, con tutta evidenza, un'altra cosa rispetto al monocolore "rosa" a cui probabilmente potrà affidarsi il neo-presidente. Per replicare il caso italiano, Hollande dovrebbe invece essere indotto a stringere un'intesa con il centrista Bayrou: altamente improbabile.

Tuttavia, accanto alle differenze e alle incognite ci sono anche le speranze. Hollande promette un serio rinegoziato in Europa con la Germania. È anche interesse dell'Italia che questo avvenga, come il premier Monti ha fatto capire. Non per isolare Angela Merkel, che sarebbe un grave errore, ma per coordinare la strategia in Europa in vista di politiche più espansive, finalmente votate agli investimenti.
Questa è la speranza che l'ingresso all'Eliseo del secondo socialista dopo Mitterrand porta con sé. Ma lo stesso neo-presidente dovrà presto imparare che un conto sono le riforme promesse in piazza, un altro sono le riforme realmente definite e applicate nella durezza del confronto politico. La Grecia è lì ad ammonire sui rischi del fallimento. Il voto nel paese ellenico è un pessimo segnale per l'Europa. Come tale dovrà essere valutato dai partiti italiani e dai leader politici che stasera non hanno occhi che per Parigi. Purtroppo in queste ore è da Atene che viene la minaccia peggiore alla stabilità economica nell'area dell'Unione e di conseguenza alla moneta unica.

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