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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2012 alle ore 06:38.

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Chiara Bussi
Sempre più piccolo e sempre più fragile. I venti della crisi dell'euro fanno traballare le fondamenta del club della tripla A dell'Unione europea. Sono ormai solo sette i Paesi che vantano il massimo giudizio da parte delle tre agenzie di rating: Moody's, Standard and Poor's e Fitch. L'immancabile Germania, prima della classe insieme a Danimarca e Svezia, con il massimo dei voti e prospettive stabili. Ma anche Finlandia, Gran Bretagna e Lussemburgo, con qualche nuvola all'orizzonte. E infine l'Olanda, che ha rischiato grosso due settimane fa dopo la crisi di governo sul piano di austerity, con la minaccia di una bocciatura da parte di Fitch.
Il gruppo di élite ha perso a febbraio due membri illustri, Francia e Austria, retrocessi da S&P al meno blasonato rating AA+ per «l'impatto di una crisi sempre più intensa sul piano politico, finanziario e monetario».
L'agenzia ha puntato il dito sull'alto livello di debito pubblico e sulle rigidità del mercato del lavoro in Francia, così come sulla fragilità del sistema bancario in Austria, con forti esposizioni in Europa centrale e orientale. Per Parigi, a due mesi dalle elezioni presidenziali, è stato un boccone amaro da digerire, tanto che il ministro delle Finanze François Baroin ha assicurato che il Paese «non si fa dettare la politica dalle agenzie di rating». La decisione è stata annunciata ufficialmente dopo la chiusura di Wall Street, ma le voci che sono circolate già nel pomeriggio hanno avuto pesanti ripercussioni sui mercati.
Meno severe sono state le altre agenzie che hanno però lanciato un avvertimento. Moody's si è limitata per ora ad assegnare ai due Paesi un outlook negativo. Ma, sulla stessa lunghezza d'onda di Fitch, ha messo sotto osservazione anche un altro storico membro del club: la Gran Bretagna. A pochi giorni dalla presentazione del bilancio all'insegna del rigore Londra viene messa sotto stretta sorveglianza per la sua «limitata capacità» di far fronte agli shock. Le scommesse sulle prossime uscite dal club sono già iniziate.
«La vera novità – sottolinea Mario Spreafico, responsabile investimenti di Schroeders – è che sono finiti sotto tiro non solo più solo i soliti noti, come i Paesi periferici, ma l'Unione europea nel suo insieme. Tra i grandi si salva ormai solo la Germania, ma nessuno appare più al sicuro». Con tutte le conseguenze che derivano da una bocciatura, più o meno sonora. Perché un rating più basso significa maggiori interessi sul debito, ma non solo. «Il declassamento – fa notare l'economista di Royal Bank of Scotland Silvio Peruzzo – porta a un effetto a cascata sui rating del sistema bancario di un Paese e sulle principali società».
I ritocchi a raffica dei giudizi sul merito di credito dei Paesi europei scatenano una girandola di critiche: scarsa trasparenza, conflitti di interesse, necessità di maggiore vigilanza e tempistica delle decisioni e del loro annuncio. «L'impatto sui mercati è meno forte rispetto al passato – aggiunge Peruzzo – e alcune istituzioni, come la Bce, hanno messo a punto da alcuni anni un sistema di valutazione del rating che tiene conto anche di un esame effettuato all'interno dell'Eurotower. È infatti indubbio che serva un organismo oggettivo di valutazione dei rating, ma una riforma è necessaria». Un'esigenza che ha spinto il Commissario Ue al mercato interno Michel Barnier a presentare lo scorso novembre una proposta di regolamento per «ridurre l'affidamento eccessivo ai rating e migliorare la qualità delle procedure» per fare uno scatto in avanti rispetto alle normative passate. Nel testo finale approvato dal collegio dei Commissari non ci sono però più tracce della sospensione del rating per i Paesi sotto assistenza finanziaria e la creazione di un'agenzia di rating europea. Due punti su cui intende battersi l'Europarlamento, che ha già iniziato la discussione alla commissione affari economici e voterà il 7 giugno. Il testo approderà poi in plenaria nella sessione di luglio a Strasburgo. Nel frattempo, il 15 maggio, la riforma potrebbe comparire sul tavolo del Consiglio Ecofin.
«La proposta dell'esecutivo Ue – spiega Leonardo Domenici, ex sindaco di Firenze e ora eurodeputato nel gruppo dell'Alleanza progressista di socialisti e democratici, relatore del testo – contiene numerosi elementi positivi in tema di trasparenza. Occorre però fare di più. Bisogna ad esempio proibire l'unsolicited rating: se un Paese non ha siglato un contratto con un'agenzia di rating non può essere giudicato. Occorre inoltre affidare a un'istituzione europea autorevole e indipendente il compito di valutazione del rating». La più accredita dietro le quinte dell'Europarlamento sembra essere la Bce. Proprio il presidente Mario Draghi si è già detto favorevole a un'agenzia di rating europea.
«La valutazione del merito di credito dei Paesi deve essere più trasparente – conclude Spreafico –, ma serve anche un approccio più flessibile: le agenzie dovrebbero ampliare la gamma dei parametri di valutazione al debito privato sul Pil, alla ricchezza finanziaria di un Paese e a quella pro capite che potrebbero fornire elementi rilevanti sulla capacità di fronteggiare la crisi».
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