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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2012 alle ore 08:13.

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Fu sghignazzo oppure amore? Al termine di una giornata-chiave nell'inchiesta della Commissione Leveson sui rapporti fra media e politica in Gran Bretagna, segnata com'è stata dal pesante coinvolgimento del ministro Jeremy Hunt, rimane l'interrogativo sul criptico messaggio del premier David Cameron alla rossa Rebekah Brooks, ex ceo del gruppo Murdoch nel Regno Unito.

«Ogni tanto firmava gli sms che mi inviava con Lol che significa 'lots of love' (un sacco d'amore) anche se lui intendeva dire 'laugh out loud' (mi sbellico dalle risate)», ha ricordato Rebekah a metà di un interrogatorio-fiume in cui le relazioni pericolose fra Downing Street e NewsCorp dei Murdoch sono uscite con una nettezza raramente vista prima.
Non solo con il Governo di David Cameron, ma soprattutto con il Governo di David Cameron. E con il ministro della Cultura Jeremy Hunt, in particolare. Un nome riemerso con forza, ieri, quando si è saputo che nel giugno del 2011 mentre Rupert Murdoch lanciava l'offerta d'acquisto per la pay tv BskyB, Jeremy Hunt aveva domandato a NewsCorp «indicazioni anche per Downing Street» sull'atteggiamento da tenere.

In una mail firmata da Fred Michel, capo delle pr dell'editore australiano, si ricostruiscono le preoccupazioni del ministro per le conseguenze che lo scandalo sulle intercettazioni telefoniche poteva avere sull'acquisizione della tv. Spettava a Jeremy Hunt dare il via libera al deal - poi fallito - e per darlo, suggerisce il messaggio di posta elettronica, chiedeva lumi ai potenziali acquirenti. Un incrocio fra controllori e controllati a dir poco equivoco.
Il caso Hunt è stato in realtà fenomeno minore in una giornata che ha visto il nome del premier avvicinato ripetutamente a quello di Rupert Murdoch. Nelle cinque ore di interrogatorio, gestito con abilità suprema da Robert Jay, il "pubblico ministero" di un'indagine conoscitiva che impone ai testimoni il giuramento, Rebekah Brooks ha barcollato. Non ha negato, di fatto, il ruolo di gran burattinaio delle relazioni fra media e politica, ma ha cercato di farlo apparire come un'inevitabile realtà, condizione ineludibile di un gioco delle parti dove il ruolo del giornalista e quello del lobbista si confondono.

Rebekah ha raccontato che il premier David Cameron le aveva fatto sapere di non poter più essere «pubblicamente leale» nei suoi confronti, altrimenti sarebbe stato alla mercé del leader dell'opposizione, Ed Miliband. Ha smentito di aver mai scambiato quotidianamente «dozzine di sms» con il primo ministro, limitandosi ad ammetterne «un paio alla settimana», ma ha indugiato sul pubblico riconoscimento dello Stato nei suoi confronti. «Quando - ha ricordato - mi sono dimessa, ho ricevuto dimostrazioni di comprensione dal numero 10 (ufficio del premier a Downing street, ndr), dal numero 11 (ufficio del cancelliere a Downing street, ndr), dal ministro degli Interni e degli Esteri». Gli ossequi che si devono a uno statista o a uno stratega, condizione a cui Rebekah Brooks ieri non ha voluto rinunciare, indugiando a lungo anche sulle relazioni con Tony Blair e Gordon Brown. E sulla mano che giocò nella disputa che divise i due leader del Labour. Per smania di potere? No, per «il supremo interesse del lettore», ha insistito, ineffabile, la rossa signora Brooks prima di lasciare l'aula senza aver sciolto l'arcano: fu sghignazzo oppure amore?

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